Focus: Masamune Shirow 7 - Ghost in the Shell 2

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Cyber-Crash
di Alberto Gallo

Durante la prima metà degli anni Novanta, Ghost in the Shell porta il nome di Masamune Shirow in giro per il mondo. Quando osserva sul planisfero le linee che partono dal Giappone e raggiungono ogni angolo del globo, l’autore capisce di aver dato vita a un manga dal successo planetario, capace di trasformarsi immediatamente in un classico moderno. L’Italia si dimostra ancora una volta all’avanguardia: il capolavoro cyberpunk è uno dei titoli selezionati nel 1992 per inaugurare Kappa Magazine, la neonata rivista delle Edizioni Star Comics con cui i Kappa Boys scendono in campo pronti a sfidare la loro ex casa editrice Granata Press. Mentre il manga imperversa anche nel resto d’Europa, gli Stati Uniti che per primi avevano portato Shirow all’estero sembrano rimanere al palo. La nuova crisi del mercato fumettistico fa perdere posizioni in griglia al pubblico americano, che può permettersi un’edizione di Ghost in the Shell solo nel 1995.

Nel frattempo, problemi di tutt’altra natura affliggono la terra del Sol Levante. In seguito al tragico mattino del 17 gennaio 1995, Kobe è una città in ginocchio obbligata a dar fondo alla proverbiale capacità giapponese di rialzarsi in piedi dopo qualsiasi tragedia per tornare a correre il più presto possibile. Dopo aver visto andare in frantumi qualsiasi possibilità di completare Neuro Hard, anche Shirow vuole riaccendere i motori e riprendere a navigare. Del resto raccontare storie di fantascienza è un buon modo per guardare al futuro, distogliendo momentaneamente gli occhi da un presente fatto di morti, feriti e macerie. Così, mentre raccoglie i resti del materiale perso nel terremoto, l’autore preme il pulsante per riattivare la pubblicazione degli episodi inediti di Ghost in the Shell. Esattamente com’era successo nelle due storie brevi pubblicate tra il 1990 e il 1991, in questi due nuovi racconti l’artista decide di parcheggiare Motoko nelle retrovie e accendere le luci della ribalta sugli altri uomini della Nona Sezione alle prese con casi di routine, completamente svincolati da un filo conduttore comune. Della serie originale, in sostanza, rimangono solo l’ambientazione e i personaggi, perché anche le atmosfere si differenziano dal primo Ghost in the Shell. Niente più specchi sociali o analisi del rapporto uomo/tecnologia, ma semplici storie di azione a base di inseguimenti e pallottole. Il progetto transita sulle pagine di Young Magazine nel biennio 1995/1996, ma è impensabile che la serie possa proseguire con questa impronta, senza un vettore che ne indichi un preciso orientamento. Possibile che uno come Shirow, abituato a costruire opere profonde e complesse, possa accontentarsi di casi di ordinaria amministrazione? Dopo la sospensione di Neuro Hard la sua produttività sembra anche aver subito un improvviso rallentamento visto che, oltre ai due episodi di Ghost in the Shell, la torre di controllo non riceve nuove segnalazioni dal fortino in cui l’autore vive barricato. Nessuno sa che quegli episodi sono un semplice aperitivo per intrattenere gli avventori in attesa della grossa portata: il 30 giugno 1997, infatti, atterra su Young Magazine 30 il primo capitolo di Ghost in the Shell 2 Manmacine Interface Dual Device, un sorprendente arco narrativo con le nuove avventure dell’ex maggiore Motoko Kusanagi. Suddiviso in 6 capitoli, il manga sconvolge le pagine della rivista fino al numero 38 consegnando ai lettori uno Shirow completamente rinnovato. La maggior parte delle pagine è infatti a colori e presenta uno stile che fonde il disegno manuale con la computer grafica, mentre la trama si distacca completamente dal Ghost in the Shell originale. Pur essendo famoso per la continua voglia di sperimentare senza limiti, questa volta Shirow sembra aver osato troppo. E quando si azzarda intaccando il proprio capolavoro, gli errori si pagano a caro prezzo.

In un centro del gruppo industriale Poseidon, alcuni maiali vengono modificati geneticamente dalla Meditech per essere utilizzati come riserva di organi destinati a trapianti su esseri umani. Il cyborg Motoko Aramaki, supportata da un team di intelligenze artificiali con le sembianze di buffi pupazzetti, si lancia alla ricerca dei responsabili della manomissione. Spostandosi nella rete virtuale attraverso i suoi numerosi alias, Motoko affronta una serie di scontri che la portano a incontrare lo Stabat Mater, un sistema del cyberspazio che dispone di diverse identità simili a Motoko Kusanagi e identifica Motoko Aramaki come 11° isotopo, la sua undicesima figlia. Le due Motoko sono così costrette a scontrarsi, dando vita a una vera e propria lotta tra madre e figlia.

Computer grafica eccessiva, degenerazione del fan service, trama incomprensibile o addirittura inesistente. Le critiche grandinano con violenza su Shirow, che per la prima volta perde l’appoggio di molti suoi estimatori, delusi da un’opera tanto attesa quanto temuta. La delusione deriva non tanto dalle tematiche differenti rispetto al fumetto del 1989, quanto dall’approccio mantenuto dall’autore in tutto il corso della serie. Se nel primo Ghost in the Shell la realtà veniva vista dall’esterno, qui il fronte si ribalta trasportando il lettore all’interno del ghost per fargli vivere l’esperienza virtuale direttamente, com’era già in parte avvenuto nel finale della serie precedente. L’idea di rappresentare il mondo della mente cibernetica attraverso elementi fisici può risultare interessante, ma l’eccessivo spazio dedicato al cyber-brain warfare, vero cuore pulsante del manga, finisce per sfociare in intere sequenze superflue, didascaliche, ridondanti. Shirow sembra volersi beare della sua riconosciuta abilità nell’inventare processi informatici e nuove tecnologie annientando completamente la trama, dimenticandosi che i lettori lo seguono non solo per gli aspetti fantascientifici ma anche per le altre tematiche alla base della sua produzione. Quando si spoglia di quelle caratteristiche, la sua fantascienza diventa fine a se stessa in un’esasperazione di concetti del tutto ingiustificata che disorienta e confonde il lettore, già messo a dura prova dalla massiccia presenza della grafica digitale. Non bastasse l’inconsistenza della trama, infatti, Shirow crea pagine di grande impatto visivo senza preoccuparsi più di tanto della fluidità narrativa, frantumata in uno storytelling sacrificato da pulsioni creative estranee alla funzionalità e votate quasi esclusivamente ad un’estetica di dubbio gusto. La ricerca di soluzioni estetiche capaci di catturare l’occhio del lettore rubandolo alla lettura trova riscontro nella continua ostentazione delle figure femminili che costellano tutto il manga, spesso pruriginosamente ritratte seminude o in pose utili a sottolineare le generose forme anatomiche. Le ottime pagine in bianco e nero non bastano a salvare un’opera che, nelle intenzioni dell’artista, dovrebbe essere considerata in modo del tutto indipendente dalla prima serie. Manmachine Interface sembra quasi rappresentare l’autocompiacimento dell’autore attraverso quei componenti che, se ben dosati, garantiscono un apporto energetico benefico, ma quando vengono usati in modo indiscriminato avvelenano l’organismo conducendolo rapidamente all’autosoppressione. Il problema di questo manga, insomma, non è che abbia poco o niente del Ghost in the Shell originale. Questo sarebbe un fattore positivo, nessuno è interessato a schierare in libreria due opere analoghe. Il vero problema, semmai, è che contiene dosi eccessive di Masamune Shirow. E quando un autore antepone le proprie velleità alle esigenze dell’opera, finisce per distruggerla pur essendo animato dalle migliori intenzioni. Ricordarsi che si lavora per far felici i lettori (e non solo per far godere il proprio ego) potrebbe essere un buon punto di partenza per evitare incidenti creativi di questa portata.

Dopo aver incrociato le armi con il pubblico, il 28 giugno 2001 Shirow pubblica il manga in un unico volume allegando in omaggio un mouse pad. Restano fuori dai giochi i quattro capitoli indipendenti usciti tra il 1990 e il 1996, quelli con protagonisti gli altri membri della squadra speciale. L’operazione di recupero è fissata per il 23 luglio 2003, quando gli episodi vengono raccolti in Ghost in the Shell 1.5 Human-Error Processer, un volume dalla copertina rigida che presenta anche un CD-ROM allegato con le quattro storie in formato digitale. Con queste due pubblicazioni, il progetto cartaceo di Ghost in the Shell sembra essere definitivamente concluso. Resta da chiedersi se, dopo il capolavoro datato 1989, fosse davvero il caso di riaprirlo.

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