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di Alberto Gallo
Protagonista della scena internazionale da oltre tre decenni, Masamune Shirow è senza ombra di dubbio uno degli autori più misteriosi del pianeta. Schivo e riservato, non ama apparire in eventi pubblici e solo di rado concede qualche intervista. Come se non bastasse, non frequenta i social network e incontrarlo fuori dai confini giapponesi è praticamente impossibile, visto il suo odio per gli aerei. “Se avessi tempo mi piacerebbe andarci almeno una volta – dichiara a chi gli chiede se ci siano chance di vederlo in Europa o negli Stati Uniti – ma dovrei viaggiare in barca o in dirigibile”. Laureatosi in pittura ad olio, nel campo dei manga è un vero e proprio autodidatta. Tra le nozioni apprese all’Accademia di Belle Arti, dichiara espressamente che l’unica a essergli tornata utile è “la capacità di mantenere la mano ferma”. All’inizio della sua carriera è stato influenzato soprattutto dai disegni degli shojo manga, mentre le trame delle sue opere sono costruite fondendo gli elementi del suo sterminato campo di interessi. La passione per il mondo dei ragni, ad esempio, fa sì che nei suoi manga molti mezzi meccanici abbiano un aspetto aracniforme non solo per un gusto personale, ma anche per garantire loro maggiore stabilità. A chi gli chiede perché le protagoniste dei fumetti siano sempre personaggi femminili risponde semplicemente: “Perché sono un uomo e, come uomo, trovo le donne più attraenti da disegnare. A parte questo, usando una donna posso attirare un po’ di pubblico e dare al lavoro un po’ di delicatezza”.
Nonostante si conoscano molte informazioni sulla sua vita e sulle sue preferenze, Shirow continua a rimanere un uomo senza volto. Di lui esistono solo due foto ufficiali: la prima lo ritrae con gli occhi censurati da una banda nera, la seconda è un’elaborazione grafica in cui lo sguardo è nascosto da un paio di occhiali scuri. L’assenza di un preciso identikit ha generato confusione specie su Internet, dove l’artista viene spesso associato ad una foto che in realtà immortala Toshihiro Kawamoto, l’animatore giapponese conosciuto soprattutto per aver lavorato a Cowboy Bebop. Il mistero sul vero volto dell’autore si fa ancora più fitto se si pensa che, all’interno dei suoi lavori, nel corso degli anni Shirow preferisce ritrarsi sempre più spesso come una piovra stilizzata di nome Takochu (in giapponese ‘tako’ significa ‘polpo’). Il motivo non è ben chiaro, ma è facile ipotizzare che la raffigurazione abbia una valenza puramente simbolica: i numerosi tentacoli dell’animale, infatti, potrebbero indicare la nota abitudine di Shirow a lavorare su diversi progetti contemporaneamente. Gli unici suoi veri autoritratti (spesso dal taglio stilizzato o umoristico) risalgono alla fine degli anni Ottanta o ai primi anni Novanta, e in particolare al volume del 1989 Manga Basic Technique Lecture. Qui, in una vignetta, il maestro di Kobe si disegna con una finestrella sulla fronte da cui esce una minuscola creatura che dovrebbe essere lui stesso. Nello stesso volume compare anche un’illustrazione del suo studio in cui pare che l’artista lavori e dorma in un’unica stanza. Ciò che emerge da quasi tutte le immagini, comunque, è una situazione costantemente immersa nel caos, frutto di enormi e complessi carichi di lavoro da cui sembra impossibile avere tregua.
Le interviste svelano molte cose della sua vita, ma non chiariscono tutti i dubbi. Appurato che il padre si occupava di design e che Masamune era stato avviato alla pittura tra i 2 e i 14 anni da Seiichi Suzuki, il suo esordio nei manga non corrisponde esattamente alla versione più conosciuta. In un’intervista rilasciata nel 1994 ma rimasta inedita fino al 2007, è lo stesso Shirow a svelare (senza scendere in dettagli) di essere stato coinvolto nell’esperienza di Atlas dalla sorella maggiore, che già collaborava alla fanzine. La ragazza, studentessa della Kansai University, era entrata nello staff tramite il compagno di college Kyoshi Yamamoto (vero nome di Akira, uno dei principali membri della rivista) e aveva esordito sul numero 5 di Atlas, datato 25 marzo 1980, firmandosi con lo pseudonimo Renetsu Akimoto. Proprio in quel periodo, il futuro Masamune Shirow aveva espresso l’intenzione di seguire le sue orme e disegnare fumetti, così Renetsu aveva presentato il soggetto di Aeropagus Arther a Masashi Sugihara (nome d’arte di Takaaki Sugihara), uno degli editor di Atlas. Colpito dalla trama, Sugihara aveva fatto salire a bordo Shirow, inconsapevole di essere il vero scopritore di uno dei più importanti mangaka di sempre. Se le cose fossero andate davvero così, perché nelle interviste successive Shirow racconta di essere entrato nel mondo dei manga tramite un innominato compagno di scuola senza menzionare il fondamentale intervento di Renetsu? La riservatezza dell’autore è cosa ben nota e non è improbabile che, in seguito al successo internazionale, rilasci dichiarazioni differenti per tutelare la privacy della sorella. Del resto, la ricostruzione di Masamune non è poi così fantasiosa: Sugihara era davvero un suo compagno di studi, dal momento che entrambi frequentavano l’Accademia di Belle Arti di Osaka. Ed era davvero stato Sugihara a dare l’OK alla pubblicazione del manga. Comunque si fossero svolti i fatti, il primo episodio di Aeropagus Arther era uscito il 25 novembre 1980 sul numero 7 di Atlas, segnando l’esordio assoluto di Shirow. Graficamente influenzato da Leiji Matsumoto, il fumetto presentava alcuni elementi tipici della produzione futura dell’artista, primi fra i quali l’ispirazione alla mitologia greca evidente fin dal titolo (l’Aeropago è la collina di Atene su cui Ares venne giudicato da dodici giurati per un’accusa di omicidio mossa da Poseidone) e la presenza di un supercomputer del tutto simile al Nemesis di Black Magic e al Gaia di Appleseed. Ma già con il suo primo lavoro il giovane Masamune aveva manifestato un altro atteggiamento che si sarebbe ripetuto per buona parte della sua carriera: dopo i primi cinque episodi, infatti, il manga era stato lasciato in sospeso ad un solo numero dalla conclusione. Per quanto riguarda la sorella, dopo aver realizzato alcune storie brevi e serializzato due episodi di un manga intitolato Delta Hurricane, nel 1982 aveva deciso di lasciare la fanzine in seguito al matrimonio e di lei non si sono più avute notizie. Di sicuro, oltre alla passione per i fumetti, almeno un altro paio di cose la accomunano a Masamune. In primo luogo, la riservatezza: se di tutti i componenti di Atlas è noto anche il nome reale, della ragazza (unica presenza femminile della fanzine) si conosce solo lo pseudonimo. L’intenzione di restare nell’ombra potrebbe essere quindi un’altra valida ragione per cui la donna non voglia essere collegata all’ingresso di Shirow nell’ambiente del fumetto, preferendo lasciare tutto il merito a Sugihara. Sotto il profilo artistico, invece, è l’abitudine a lasciare in sospeso i lavori a sembrare un vizio di famiglia: il suo Delta Hurricane era infatti un manga incompiuto, sorte toccata a numerose opere del fratello.
L’altra grande zona d’ombra dell’artista giapponese riguarda le abitudini di lavoro. Mentre tutti i grandi autori si stabiliscono a Tokyo per gestire meglio i rapporti con le case editrici, Shirow continua a vivere a Kobe, la città natale con cui ha un legame profondissimo. È lui stesso a spiegare il motivo di questa strana decisione: “Kobe è pacifica. Nel mio lavoro tendo a cercare l'isolamento, preferisco un ambiente pacifico e meditativo. Tokyo è troppo ‘ad alta tensione’ per me”. Ed è proprio Kobe la causa del suo anomalo metodo di lavoro senza assistenti. “In parte è una decisione artistica – dice - ma in realtà il problema è più plebeo. È molto difficile trovare buoni assistenti in un posto come Kobe. E quando ne ho trovato qualcuno, non sono riuscito a tenerlo occupato. Dato che qui non ci sono molti artisti, il povero collaboratore avrebbe praticamente fatto la fame. Se il mio studio fosse più simile alla ‘fabbrica di fumetti’ tradizionale non avrei problemi, ma visto che non è questo il caso...” Il supporto degli assistenti si era così limitato alla fase iniziale della carriera di Shirow: per Black Magic, infatti, quasi tutti gli autori di Atlas si erano trasformati in suoi collaboratori. Tra loro c’era sicuramente Takeshi Takusagi (in arte Kotetsu Hagane), che in seguito l’avrebbe aiutato anche con Applessed. Dopo qualche anno di silenzio, il nome di Hagane era improvvisamente tornato sotto il cono di luce nel 1996: l’episodio speciale di Dominion “Phantom of the Audience” proponeva uno stile di inchiostrazione leggermente diverso dal solito, così qualcuno aveva ipotizzato che Shirow si fosse di nuovo avvalso del suo vecchio collaboratore. “Be’, non esattamente – aveva smentito il maestro di Kobe – È stato inchiostrato da una persona diversa, ma non da un assistente. È stato inchiostrato da un altro Masamune Shirow. All'epoca ero semplicemente in uno stato mentale particolare”. Lavorare in solitaria porta inevitabilmente a un rallentamento dei tempi di produzione, ma “è meglio aspettare un po' di tempo per un nuovo manga unico e interessante, piuttosto che affrettarsi e finire con un sacco di manga standard e prevedibili”. Per quanto riguarda gli aspetti commerciali come la contabilità, la gestione dei diritti e le trattative in generale “ho creato un'azienda. Questo mi permette di lasciare le questioni commerciali alla compagnia e concentrarmi sul lavoro creativo. Per i miei fumetti è più facile lavorare da solo”.
La solitudine diventa quindi una condizione necessaria per portare a casa il miglior risultato possibile. Nella base operativa di Kobe gli unici contatti umani ammessi sono il presidente della Seishisha Harumichi Aoki e Shigehiko Ogasawara, storico amico ed editor dell’artista. A loro si aggiunge forse Nozomi Omori, l’agente giapponese dello Studio Proteus tramite cui l’autore interagisce con il gruppo americano. Preferendo lasciar parlare i suoi fumetti, Shirow rilascia interviste solo a persone di fiducia come Toren Smith o Frederik L. Schodt, ma pochi hanno potuto incontrato di persona e nessuno di loro ha mai messo piede nel suo studio. L’alone di mistero voluto dall’artista per mettere in primo piano la propria opera sembra produrre l’effetto opposto, creandogli un’aura oscura che contribuisce a mitizzare la sua figura. In realtà è così solo in parte: impossibile da incontrare o contattare, per i lettori di tutto il mondo Shirow è un artista irraggiungibile. Il solo modo per conoscerlo direttamente restano quindi i suoi lavori, unico strumento capace di diffondere il suo pensiero ovunque e senza filtri. Anche sotto il profilo comunicativo Shirow dimostra così di avere ragione, confermandosi ancora una volta l’unico vero padrone della sua straordinaria carriera.
Nonostante si conoscano molte informazioni sulla sua vita e sulle sue preferenze, Shirow continua a rimanere un uomo senza volto. Di lui esistono solo due foto ufficiali: la prima lo ritrae con gli occhi censurati da una banda nera, la seconda è un’elaborazione grafica in cui lo sguardo è nascosto da un paio di occhiali scuri. L’assenza di un preciso identikit ha generato confusione specie su Internet, dove l’artista viene spesso associato ad una foto che in realtà immortala Toshihiro Kawamoto, l’animatore giapponese conosciuto soprattutto per aver lavorato a Cowboy Bebop. Il mistero sul vero volto dell’autore si fa ancora più fitto se si pensa che, all’interno dei suoi lavori, nel corso degli anni Shirow preferisce ritrarsi sempre più spesso come una piovra stilizzata di nome Takochu (in giapponese ‘tako’ significa ‘polpo’). Il motivo non è ben chiaro, ma è facile ipotizzare che la raffigurazione abbia una valenza puramente simbolica: i numerosi tentacoli dell’animale, infatti, potrebbero indicare la nota abitudine di Shirow a lavorare su diversi progetti contemporaneamente. Gli unici suoi veri autoritratti (spesso dal taglio stilizzato o umoristico) risalgono alla fine degli anni Ottanta o ai primi anni Novanta, e in particolare al volume del 1989 Manga Basic Technique Lecture. Qui, in una vignetta, il maestro di Kobe si disegna con una finestrella sulla fronte da cui esce una minuscola creatura che dovrebbe essere lui stesso. Nello stesso volume compare anche un’illustrazione del suo studio in cui pare che l’artista lavori e dorma in un’unica stanza. Ciò che emerge da quasi tutte le immagini, comunque, è una situazione costantemente immersa nel caos, frutto di enormi e complessi carichi di lavoro da cui sembra impossibile avere tregua.
Le interviste svelano molte cose della sua vita, ma non chiariscono tutti i dubbi. Appurato che il padre si occupava di design e che Masamune era stato avviato alla pittura tra i 2 e i 14 anni da Seiichi Suzuki, il suo esordio nei manga non corrisponde esattamente alla versione più conosciuta. In un’intervista rilasciata nel 1994 ma rimasta inedita fino al 2007, è lo stesso Shirow a svelare (senza scendere in dettagli) di essere stato coinvolto nell’esperienza di Atlas dalla sorella maggiore, che già collaborava alla fanzine. La ragazza, studentessa della Kansai University, era entrata nello staff tramite il compagno di college Kyoshi Yamamoto (vero nome di Akira, uno dei principali membri della rivista) e aveva esordito sul numero 5 di Atlas, datato 25 marzo 1980, firmandosi con lo pseudonimo Renetsu Akimoto. Proprio in quel periodo, il futuro Masamune Shirow aveva espresso l’intenzione di seguire le sue orme e disegnare fumetti, così Renetsu aveva presentato il soggetto di Aeropagus Arther a Masashi Sugihara (nome d’arte di Takaaki Sugihara), uno degli editor di Atlas. Colpito dalla trama, Sugihara aveva fatto salire a bordo Shirow, inconsapevole di essere il vero scopritore di uno dei più importanti mangaka di sempre. Se le cose fossero andate davvero così, perché nelle interviste successive Shirow racconta di essere entrato nel mondo dei manga tramite un innominato compagno di scuola senza menzionare il fondamentale intervento di Renetsu? La riservatezza dell’autore è cosa ben nota e non è improbabile che, in seguito al successo internazionale, rilasci dichiarazioni differenti per tutelare la privacy della sorella. Del resto, la ricostruzione di Masamune non è poi così fantasiosa: Sugihara era davvero un suo compagno di studi, dal momento che entrambi frequentavano l’Accademia di Belle Arti di Osaka. Ed era davvero stato Sugihara a dare l’OK alla pubblicazione del manga. Comunque si fossero svolti i fatti, il primo episodio di Aeropagus Arther era uscito il 25 novembre 1980 sul numero 7 di Atlas, segnando l’esordio assoluto di Shirow. Graficamente influenzato da Leiji Matsumoto, il fumetto presentava alcuni elementi tipici della produzione futura dell’artista, primi fra i quali l’ispirazione alla mitologia greca evidente fin dal titolo (l’Aeropago è la collina di Atene su cui Ares venne giudicato da dodici giurati per un’accusa di omicidio mossa da Poseidone) e la presenza di un supercomputer del tutto simile al Nemesis di Black Magic e al Gaia di Appleseed. Ma già con il suo primo lavoro il giovane Masamune aveva manifestato un altro atteggiamento che si sarebbe ripetuto per buona parte della sua carriera: dopo i primi cinque episodi, infatti, il manga era stato lasciato in sospeso ad un solo numero dalla conclusione. Per quanto riguarda la sorella, dopo aver realizzato alcune storie brevi e serializzato due episodi di un manga intitolato Delta Hurricane, nel 1982 aveva deciso di lasciare la fanzine in seguito al matrimonio e di lei non si sono più avute notizie. Di sicuro, oltre alla passione per i fumetti, almeno un altro paio di cose la accomunano a Masamune. In primo luogo, la riservatezza: se di tutti i componenti di Atlas è noto anche il nome reale, della ragazza (unica presenza femminile della fanzine) si conosce solo lo pseudonimo. L’intenzione di restare nell’ombra potrebbe essere quindi un’altra valida ragione per cui la donna non voglia essere collegata all’ingresso di Shirow nell’ambiente del fumetto, preferendo lasciare tutto il merito a Sugihara. Sotto il profilo artistico, invece, è l’abitudine a lasciare in sospeso i lavori a sembrare un vizio di famiglia: il suo Delta Hurricane era infatti un manga incompiuto, sorte toccata a numerose opere del fratello.
L’altra grande zona d’ombra dell’artista giapponese riguarda le abitudini di lavoro. Mentre tutti i grandi autori si stabiliscono a Tokyo per gestire meglio i rapporti con le case editrici, Shirow continua a vivere a Kobe, la città natale con cui ha un legame profondissimo. È lui stesso a spiegare il motivo di questa strana decisione: “Kobe è pacifica. Nel mio lavoro tendo a cercare l'isolamento, preferisco un ambiente pacifico e meditativo. Tokyo è troppo ‘ad alta tensione’ per me”. Ed è proprio Kobe la causa del suo anomalo metodo di lavoro senza assistenti. “In parte è una decisione artistica – dice - ma in realtà il problema è più plebeo. È molto difficile trovare buoni assistenti in un posto come Kobe. E quando ne ho trovato qualcuno, non sono riuscito a tenerlo occupato. Dato che qui non ci sono molti artisti, il povero collaboratore avrebbe praticamente fatto la fame. Se il mio studio fosse più simile alla ‘fabbrica di fumetti’ tradizionale non avrei problemi, ma visto che non è questo il caso...” Il supporto degli assistenti si era così limitato alla fase iniziale della carriera di Shirow: per Black Magic, infatti, quasi tutti gli autori di Atlas si erano trasformati in suoi collaboratori. Tra loro c’era sicuramente Takeshi Takusagi (in arte Kotetsu Hagane), che in seguito l’avrebbe aiutato anche con Applessed. Dopo qualche anno di silenzio, il nome di Hagane era improvvisamente tornato sotto il cono di luce nel 1996: l’episodio speciale di Dominion “Phantom of the Audience” proponeva uno stile di inchiostrazione leggermente diverso dal solito, così qualcuno aveva ipotizzato che Shirow si fosse di nuovo avvalso del suo vecchio collaboratore. “Be’, non esattamente – aveva smentito il maestro di Kobe – È stato inchiostrato da una persona diversa, ma non da un assistente. È stato inchiostrato da un altro Masamune Shirow. All'epoca ero semplicemente in uno stato mentale particolare”. Lavorare in solitaria porta inevitabilmente a un rallentamento dei tempi di produzione, ma “è meglio aspettare un po' di tempo per un nuovo manga unico e interessante, piuttosto che affrettarsi e finire con un sacco di manga standard e prevedibili”. Per quanto riguarda gli aspetti commerciali come la contabilità, la gestione dei diritti e le trattative in generale “ho creato un'azienda. Questo mi permette di lasciare le questioni commerciali alla compagnia e concentrarmi sul lavoro creativo. Per i miei fumetti è più facile lavorare da solo”.
La solitudine diventa quindi una condizione necessaria per portare a casa il miglior risultato possibile. Nella base operativa di Kobe gli unici contatti umani ammessi sono il presidente della Seishisha Harumichi Aoki e Shigehiko Ogasawara, storico amico ed editor dell’artista. A loro si aggiunge forse Nozomi Omori, l’agente giapponese dello Studio Proteus tramite cui l’autore interagisce con il gruppo americano. Preferendo lasciar parlare i suoi fumetti, Shirow rilascia interviste solo a persone di fiducia come Toren Smith o Frederik L. Schodt, ma pochi hanno potuto incontrato di persona e nessuno di loro ha mai messo piede nel suo studio. L’alone di mistero voluto dall’artista per mettere in primo piano la propria opera sembra produrre l’effetto opposto, creandogli un’aura oscura che contribuisce a mitizzare la sua figura. In realtà è così solo in parte: impossibile da incontrare o contattare, per i lettori di tutto il mondo Shirow è un artista irraggiungibile. Il solo modo per conoscerlo direttamente restano quindi i suoi lavori, unico strumento capace di diffondere il suo pensiero ovunque e senza filtri. Anche sotto il profilo comunicativo Shirow dimostra così di avere ragione, confermandosi ancora una volta l’unico vero padrone della sua straordinaria carriera.
Bravo, mi è piaciuto. L'unica cosa è che effettivamente esiste la foto di Shirow senza "censura". Si trova in un intervista su STUDIO VOICE MAGAZINE marzo 1992.
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