Focus: John Doe - prima stagione

Speciale John Doe S1: la Morte, l'universo e tutto quanto
di Davide Paolino

Nell’anno 2003, per la fu Eura Editoriale, fece capolino nelle edicole italiane un nuovo prodotto tipicamente nostrano: John Doe. L’ennesimo fumetto nato sulla scia degli eroi e antieroi bonelliani. Personaggio principale maschile, non proprio un sant’uomo, con i suoi vizi (molti) e le sue virtù (poche). Ottimo cast di supporto e tante piccole novità che in un panorama seriale italiano non si erano ancora viste. John Doe era un prodotto nuovo e fresco, con un retrogusto di passato. Sicuramente doveva molto a chi, nelle edicole, l’aveva preceduto. Ma si proponeva anche per coloro che il fumetto italiano non l’avevano mai amato. Con una piccola differenza: è un fumetto che si autodistrugge non in dieci secondi, ma in ventiquattro albi. Ogni volta ricomincia da capo, con un’altra idea di base, con parte dei personaggi precedenti e con molti nuovi ospiti. È un fumetto, ma potrebbe essere una serie TV americana, con un cast rinnovato per ogni nuova stagione. Potrebbe anche essere un film, ma non potrebbe essere un libro. Perché ha bisogno dei disegni, delle immagini per riuscire a dare tutto ciò che dà. John Doe è un fumetto forte, con una storia di base così ben realizzata da far sopportare anche i cali di tensione. È un fumetto che adotta una forte continuity, quella che è fattore di rischio e meraviglia negli albi Marvel e DC, quella che nel fumetto popolare italiano è, salvo rarissime eccezioni, è sempre mancata. E forse per questo ad ogni cambio, la serie ha perso alcuni lettori. E ne ha guadagnati altri. Molti che si sono messi in cammino non ci capivano niente del personaggio e del suo mondo. Così come quelli che c’erano dall’inizio. John Doe spiazza i propri fan. È per questo che è un ottimo prodotto ed una gran ventata di novità nel panorama fumettistico italiano.

PRIMA STAGIONE

John è un ragazzo di trenta/trentacinque anni. Ha un buon lavoro: è il direttore della Trapassati Inc., l’agenzia di Morte sulla Terra. Controlla i decessi, adora il suo attuale impiego. Ha tante donne, ha la predilezione per una specifica che gira e rigira come vuole lui, ha degli amici che gli devono dei favori, ha qualche superiore che lo adora - lo definiscono un "ragazzo prodigio" -, ha un’agenda dove sono segnate le date di morte di ogni uomo sulla faccia della Terra, ha tante cose da fare, la più importante è uccidere. O meglio: far sì che una persona muoia così come scritto sulla sua dannata agenda. Ma cosa deve fare quando nota che molti decessi non sono mai avvenuti, che nei registri contabili - è un’agenzia seria - c’è un ammanco di cinque milioni di anime? Cinque milioni di persone che non sono mai morte. Perché? E perché lui non ne sa niente? E perché non può accedere a questa "Classificazione Omega"? John Doe non è un tipo che si fa mettere i piedi in testa, e decide di rubare l’unico manufatto che potrebbe creare una catastrofe del genere: la Falce dell’Apocalisse. E poi scappa via. Questa è in sintesi la trama del primo numero, il leitmotiv della prima stagione del fumetto dell'Eura, e non c’è dubbio che sia stata la serie migliore delle quattro prodotte, ma delle altre parleremo in seguito dettagliatamente.

Ogni numero aggiunge un particolare in più alla storia intera e all’organizzazione degli uffici della Morte sulla Terra. D'altronde la creatura è nuova e ha bisogno di un mondo in cui vivere. John, poi, è un personaggio dannatamente originale nel panorama del fumetto popolare italiano, perché si discosta dal modello del protagonista bonelliano, che solitamente caratterizza (o quanto meno caratterizzava qualche anno fa) le edicole nostrane. John Doe è un bastardo di prima categoria, uno capace di usarti solo per i suoi scopi con la scusa di esserti amico, uno che riesce a metterti contro i tuoi capi, che riesce a rigirare il sesso femminile come vuole, tanto tutte hanno un debole per lui. Diversamente da come succede nel fumetto Bonelli, pieno di eroi puri e duri, tutti più o meno derivanti da Tex Willer, e con "antieroi" che si innamorano di ogni pulzella gli passi davanti. John Doe è quello che qualsiasi maschio forse avrebbe voluto essere, ma non sarà mai: perché lui è unico. È un individuo braccato dalle più alte potenze ultraterrene (ma con corpi umani) sulla Terra: ha dietro di sé Morte e i cavalieri dell’Apocalisse che cercano di fermarlo in ogni modo possibile. È una sorta di cliché già visto in Hulk anni '70 (il serial) o una puntata de I Viaggiatori: quel muoversi costantemente in diverse località è un espediente già usato e strausato, ma non per questo brutto da vedere. John viaggia per l’America e non solo. Incontra amici passati, amori quasi dimenticati e distrugge vite. Perché quello è il suo compito, anche se non vorrebbe. Distrugge vite quasi senza farlo apposta, alcune volte, ma lo fa. Riscuote favori, ovunque vada. E gira per il mondo. Ha nascosto la Falce e scappa: da chi lo insegue, dai suoi fantasmi, e da quello a cui porterà tutta questa situazione, sicuramente non a qualcosa di buono.

Ogni albo di questa prima stagione è semplicemente ben fatto. Difficile trovare un episodio che denoti cali di tensione o di qualità, perché questo primo arco di episodi è stato veramente una ventata di novità in un universo fumettaro italiano quasi senza idee. D'altronde erano passati oltre sedici anni dal grande successo di Dylan Dog, la Bonelli deteneva, e detiene, ancora il primato delle vendite in Italia. JD è stato lo spartiacque tra quel periodo e "la nuova era" dato che dopo la creatura Eura, ogni azienda ha provato a cambiare rotta proponendo serie e mini con autori italiani.
Ma torniamo sulla strada principale.

Con John Doe ogni lettore ha trovato pane per i suoi denti. Ogni argomento è stato affrontato ed ogni genere letterario è stato preso in considerazione. Horror, avventura, romanticismo, azione, mistero, western, tutti in un unico fumetto. E forse, per molti, questo non è stato un bene. L’accozzaglia di generi e i mille rimandi e citazioni (di cui parleremo) possono stancare. E possono far decidere di smettere di comprarlo. Perché John Doe o lo odi o lo ami, non ci sono vie di mezzo. Non lo continui per sapere come va a finire. Lo leggi solo se effettivamente ti dà qualcosa. E lo si può abbandonare quando si vuole, al proprio destino. Senza ripensamenti.

GLI EPISODI

Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni, che solo ora nominiamo per la prima volta, hanno avuto la "bizzarra" idea di immaginare ogni albo della loro creatura come un DVD, con tanto di contenuti speciali. Prima si salutano i lettori, a pagina 2, poi si fa un riassunto a pagina 4, e poi, dopo aver letto l’albo, si parla di tutti i "pezzi altrui" che ci sono nella storia appena letta, e di quanto vedremo negli albi a venire. Una buona trovata che successivamente è stata un po' lasciata in disparte, ma di questo parleremo nella prossima puntata. Un modo ottimo per dare il benvenuto ad ogni nuovo lettore e per non scontentare quelli che lo seguono dall’inizio. Ma passiamo ad analizzare alcune storie.

In "Legami" (n.3) apprendiamo, da subito, parte del passato di John Doe, senza attendere numeri tondi o festeggiamenti vari. In "Nelle fauci della follia" (n.6) viene messo in discussione, dopo appena sei numeri, tutto l’universo che ci era stato diligentemente spiegato; esattamente come se fossimo in un serial americano, il colpo di scena la fa da padrone e potrebbe già portare qualcuno ad interrompere la lettura in quel preciso istante. In "Hollywood brucia" (n.8) ci divertiamo come non mai, l’idea di base è qualcosa di meraviglioso: le leggende metropolitane. E se un gruppo musicale italiano (leggi Elio e le Storie Tese) è capace di dedicare una canzone a questo fenomeno, perché non incentrarci anche una puntata di un fumetto? Di certo è l'argomento meno originale del mondo ma trattato ottimamente. Con alcune spiegazioni che farebbero inorridire qualsiasi lettore per la loro esagerazione, ma che spiegano perfettamente la psiche del "cattivo" di turno.
Si usa, poi, anche il perfetto sotterfugio dell’albo ad episodi, già visto in ogni pubblicazione, mensile e non, italiana: "Io conosco John Doe" (n.5) serve al pubblico sia per capire come ragiona il personaggio principale, sia per capire quanto siano importanti alcuni dei comprimari e che ruolo avranno in futuro. Un espediente che verrà poi ripreso in "Regine di cuori" (n.17), sempre bene. I Cavalieri dell’Apocalisse, poi, diventano protagonisti degli albi a loro intitolati, ovvero "Guerra!", "Pestilenza!" e "Fame!", dove mostrano tutti i loro limiti e la loro forza di entità metafisiche, intrappolate, per loro scelta, in corpi umani che danno loro, purtroppo, un tocco di umanità. Che li porta a sbagliare, come qualunque essere vivente. In questi tre albi possiamo anche notare quanto contrapposte siano le loro tre personalità. Pestilenza, con l'aspetto di un uomo sulla sessantina, abbandonato da tutti e che con la fuga di John perde il suo unico vero amico. Guerra, un militare che cerca sempre e solo lo scontro fisico o armato. Fame, una signora ormai attempata che odia la società e i suoi componenti, tanto da esaltarsi ad ogni nuova inondazione o evento cataclismatico che porti alla disperazione gli umani. Gli albi in questione, poi, serviranno sia per parlare dei problemi della società moderna, sia per dare la giusta continuità alla storia di base. Perché non si può conoscere un eroe senza conoscere bene chi sono i suoi antagonisti.
Parlando di comprimari, poi, non si può non nominare Leonida e Autumn: il primo è l'unico vero alleato, in due episodi, del protagonista. Ogni Batman, d'altronde, ha il suo Robin, ogni mente grandiosa ha il suo braccio destro e Leonida è certamente adatto per quel ruolo. Un ex-mercenario che funziona anche come spalla comica o come momento di svago tra una scena di azione e l'altra. Ottima trovata. Autumn, invece, è una ragazza sbandata che troverà la sua vera vocazione strada facendo. Sembra essere una delle solite protagoniste "alla Dylan Dog" (che servono, insomma, solo per dare sollazzo all'eroe di turno), ma ci mostrerà presto la sua personalità forte. Ovviamente il mondo dei supporting character non si limita solo a questi componenti, ce ne saranno molti altri però che troveranno vera essenza nelle altre stagioni, e ci sembra d'uopo parlarne successivamente.

In alcuni albi John sembra trovarsi lì solo per caso. E decide che è giunta l’ora di aiutare qualcuno o semplicemente di mettere i bastoni tra le ruote ai suo ex datori di lavoro. Episodi che sembrano riempitivi ("Qualcosa sulla strada", "Brillano nel buio", "Gli avvoltoi hanno fame", solo per fare qualche esempio) o appartenenti al classico schema "Banner trova nemici cattivi, si trasforma in Hulk e uccide", sono in realtà complementari alla trama di base e ci mostrano sempre più i vizi e le virtù dei comprimari, e ovviamente la tenacia del personaggio principale quando è in pericolo. In "Morte in diretta" (n.21) si entra nel meta-fumetto, argomento (qui trattato bene, in altri albi non troppo) tanto caro ad uno dei due autori. Un albo che non ti aspetti, in tutti i sensi, ideale compagno del numero 6, già menzionato, dove John poneva al lettore un dubbio esistenziale: "è tutto vero o no quello che vi racconto?" In quest’albo, invece, si introduce la Realtà, la nostra, con nomi e volti veri, in un fumetto. Uno shock per i lettori non abituati a colpi di scena di questo genere.
L’albo di chiusura di metà stagione, "Morte di un piccolo Dio", è toccante. Un funerale è l’occasione giusta per mettere da parte tutti i dissapori e, molte volte, riavvicina i cuori. Anche se per poco, massimo un mese.
Concludiamo questo excursus tra i vari albi decretando senza dubbio alcuno "Tempo fuori sesto" (n.18) uno dei migliori. Tempo, la biondina che John smuove a suo piacimento e a suo volere, impazzisce e sono problemi per tutti, ma soprattutto per il suo ex-amante. Un numero commovente, una storia esaltante, una di quelle che ti fanno amare tutto il progetto JD. Come succede leggendo gli albi di chiusura della prima stagione. In "Cinque cuori di pietra" (n.22) e ne "Il Giannizzero Nero" (n.23) assistiamo all’incontro con una delle leggende del fumetto, Dago, creato da Robin Wood e Alberto Salinas e pubblicato proprio dall'Eura. Certamente un espediente cercare di portare i lettori di Dago su John Doe e viceversa, ma ne esce uno scontro finale (o quasi) alla Signore degli Anelli: per chi apprezza le battaglie, quelle antiche combattute con spada, arco e frecce (e qualche anacronistico mitra), questi sono gli albi giusti.
Conclude la stagione "Il gioco di Morte" (n.24) con lo schema classico di molti videogiochi d’epoca: lo scontro con i boss su vari livelli di difficoltà. Un espediente già visto molte volte anche al cinema, che serve agli sceneggiatori per sorprendere, ancora una volta, il lettore. Che capirà che tutto era stato pilotato fin dall’inizio, che niente, dal mese successivo, sarà più come prima e che ogni azione ha la sua naturale conseguenza. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso, si dice così, no?

CITAZIONI E RIMANDI

Ventinquattro numeri bastano a creare un mondo, un universo, ed a farlo esplodere per poi rifondarlo. Da capo ma con qualche aggiunta. È quello che si prefiggono di fare i due autori per la serie successiva, prendendo spunto da ovunque si possa prendere. Come fanno tutti, ma dicendolo molto chiaramente. Si parte dalle serie tv americane, d'altronde da lì proviene l'idea delle "stagioni", anche se ben poche hanno rinnovato il plot base della serie dopo soli due anni. È molto più semplice girare attorno alla stessa idee per tempo immemore, come sempre succede, per dare quella sorta di sicurezza al lettore o allo spettatore di turno. Perché tutti temono il cambiamento, perché a tutti fa piacere vedere che mentre il mondo cambia, qualcosa rimane lì fermo per sempre. Perché è facile vedere Goku che salva il mondo dal cattivo di turno per l'ennesima volta. Ma già in Spider-Man o in Hulk, il protagonista si muove in un universo totalmente diverso. I cambi di costume, o di status, sono uno shock per il lettore. Che accoglie il cambiamento, anche se con qualche riserva perché tanto si sa, che alla fin fine, alla Marvel si ritornerà sempre al punto di partenza. John Doe, invece, va sempre evolvendosi o involvendosi, dipende dai punti di vista.

E cita. Che per alcuni può essere un gentile sinonimo di "rubare", ma così non è. Bartoli e Recchioni citano documentando le proprie fonti. Prendono da ogni panorama fumettistico, televisivo, cinematografico e letterario esistente, e lo portano su carta. Fumetti giapponesi e i loro combattimenti che durano pagine e pagine, film americani con le loro sparatorie ed esplosioni, passaggi fugaci sui mondi dei supereroi, fino all'immancabile fermata nel fumetto italiano. Perché John Doe ha la forma di un fumetto Bonelli non a caso. Ovviamente gli autori volevano confrontarsi con quella realtà tipicamente italiana. È come andare a sfidare Rocky sul suo ring di allenamento, come giocare contro l’Inter al Meazza. Se non batti il migliore, o tenti di batterlo, non c’è gusto. E, per loro fortuna, hanno creato un personaggio forte, ci hanno inserito un'ambientazione ovviamente esterofila e in questo caso americana (solo pochi autori tipo Bilotta con Valter Buio o Di Bernardo con L'Insonne e Cornelio, hanno avuto il coraggio di ambientare un fumetto a Roma, Firenze o Bologna), e hanno provato a creare un precedente. Ci sono riusciti. Basti vedere i cambiamenti che il loro fumetto ha portato alla scena italiana.

Pescando di qua e di là, però, si finisce per leggere qualcosa che sembra già visto e qui sta al lettore, poi, capire dove finisce la citazione e inizia l'originalità che, sicuramente, in questa prima stagione sembra farla da padrone. Pur se ricoperta da cliché.

DISEGNI E COPERTINE

Il fattore aggiunto di tutta la saga di JD è sempre stato Massimo Carnevale. Un disegnatore che ha strabiliato tutti con le sue copertine. Basti guardare e ammirare i colori e le chine dei numeri 4-8-10-11-15-17-18 e così via. In edicola o in fumetteria, quegli albi spiccavano su tutti gli altri. Era la forza di Carnevale, copertinista delle prime tre stagioni.

Molti dei disegnatori erano, nell’anno solare 2002, esordienti. Ora sono diventati grandi. Basti pensare ad Emiliano Mammucari, il primo a posare le proprie mani e le proprie matite, su JD nel numero 1. Dopo la straordinaria prova con il direttore della Trapassati Inc è passato alla Bonelli, dove ha strabiliato con le sue copertine di Caravan (miniserie di Michele Medda) e poi con Orfani, serie proprio di un certo Recchioni.
Un nome su tutti che ha stupito è quello di Elisabetta Barletta, disegnatrice di due numeri di questa prima stagione. Un tratto semplice, deciso e affascinate. Sì, perché come disegna la Barletta le donne, non lo fa nessuno. E su JD, il gentil sesso è tanto apprezzato.
C’è poi Walter Venturi, che ha all’attivo quattro episodi, uno dei più bravi ci verrebbe da dire. Nei numeri 22 e 23 nelle scene della battaglia, ogni particolare è al suo posto, ogni lettore, ci auguriamo, avrà riguardato più e più volte quelle tavole. Meravigliose è dir poco.
E poi ci sono Giuseppe Manunta, Alessio Fortunato, Riccardo Burchielli, Davide Gianfelice e molti altri. Uomini che hanno fatto la storia di JD in questa prima stagione e che hanno continuato a farla. Perché non sarebbe stato un piccolo successo italiano nell’editoria fumettara, se non avesse avuto ottimi disegnatori. Basti pensare che dal lontano 2002, molti di loro sono arrivati nei grandi palcoscenici: è facile trovarli negli albi Marvel, DC o Vertigo. Oltre che Bonelli naturalmente. E anche se Maurizio Rosenzweig non piace a tutti, perché sembra storpiare l’essenza dei personaggi, e anche se Gianfelice sconvolge un po’ l’identità che conosciamo di John Doe, e anche se alcuni altri non sono stati effettivamente eccezionali, il parco disegnatori di questa testata è stato, almeno per i primi 24 numeri, una bellissima sorpresa.

ASSOLUTAMENTE DA LEGGERE (E RILEGGERE)

Annunciata nel settembre 2015, arriva nell'aprile 2016 in fumetteria e in libreria per i tipi di Bao Publishing l'edizione assoluta di questa bellissima "prima stagione" in sei volumoni con dialoghi rimasterizzati (solo quelli delle storie di Recchioni, invariati i testi di Bartoli, prematuramente scomparso nel 2014), arricchita di molti extra e dietro le quinte e copertine inedite di Carnevale. Abbiamo recensito il primo volume per ComicsViews.


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