Focus: Il Phantom di Wilson McCoy

di Alberto Gallo 

Per anni ha macinato pagine su pagine in totale anonimato, ha sostituito Ray Moore durante la guerra, lo ha aiutato a completare il lavoro quando la salute l’ha tradito, poi ne ha rilevato il posto restando alla guida di Phantom per quindici anni. Robert Wilson McCoy è il perfetto esempio del disegnatore affidabile, quello che non si risparmia e non si tira mai indietro, sempre disponibile a raccogliere la sfida e sempre puntuale all’appuntamento con le scadenze. Una qualità fondamentale per un disegnatore di fumetti, ancor più se si tratta di strisce giornaliere. Nel corso della vita, però, McCoy si è occupato di molte altre cose. 


La sua storia inizia il 6 aprile 1902, quando nasce a Troy (Missouri), penultimo di sette figli in una famiglia abituata a girovagare in lungo e in largo gli Stati Uniti per via del lavoro del padre, commerciante di strumenti musicali. I genitori, Edward Ferdinand McCoy e Theodocia Elizabeth Turnbull, si sposano il 23 maggio 1886 a Batchtown, Calhoun County (Illinois), e solo successivamente si trasferiscono a St. Louis (Missouri), la città in cui Wilson cresce cambiando continuamente casa. Il suo primo impiego arriva nel 1914, un anno dopo la morte del padre, a soli 12 anni: assunto in una drogheria, lavora otto ore al giorno dopo la scuola e dodici ore il sabato e la domenica, per un totale di 3 dollari settimanali destinati ad aiutare i fratelli e la madre, che nel frattempo ha aperto una pensione grazie a un prestito. Seguono due anni di liceo, quindi l’ingresso nell’agenzia pubblicitaria D'Arcy Advertising Co. (inizialmente come fattorino e poi all’interno dello staff creativo) e successivamente nella General Outdoor Advertising. Nel mentre, con i risparmi accumulati, si iscrive alla School of Fine Arts, presso la Washington University di St. Louis, dove conosce Dorothy Rainwater, più giovane di tre anni: dopo aver vinto 5 dollari a testa in un concorso di fumetti lanciato dal St. Louis Post-Dispatch nel gennaio 1925, i due si fidanzano ufficialmente nel giugno dello stesso anno. Il 12 settembre arriva il matrimonio, ma l’intenzione di trasferirsi a Chicago deve ancora aspettare l’ultimo anno di università, durante il quale Wilson diventa presidente della Art School Association. Mentre Dorothy è incinta del loro primo figlio (Robert Wilson Jr.), nell’autunno 1926 McCoy fa una prima incursione a Chicago con 7 dollari in tasca per frequentare l’American Academy of Art. Nonostante il lavoro trovato nella Windy City, l’anno seguente torna a St. Louis impiegandosi come insegnante di disegno e illustrazione. Il 1931 è l’anno del grande spavento: un automobilista travolge Wilson mentre è al volante della sua auto, provocandogli lo schiacciamento dei polmoni. Sebbene versi in gravi condizioni, riesce miracolosamente a salvarsi, diventando la prima persona al mondo sopravvissuta a un simile incidente. Nel frattempo, la vita professionale ha iniziato a regalargli qualche soddisfazione: nel 1930, con il collega Charles Francis Quest, ha infatti aperto la sua prima agenzia pubblicitaria, la McCoy & Quest. Lo studio si trova al 2313 di Washington Avenue, a St. Louis, nello stesso edificio dello studio di Ray Moore, che ha frequentato la sua stessa università insieme a Lester Harry “Tex” Willman, futuro socio di Wilson. Per tutto il decennio, la carriera di McCoy va a gonfie vele: collaborando con diversi studi, lavora per aziende come Shell, Tums, Dr. Pepper e U.S. Rubber, oltre a realizzare illustrazioni per calendari, stampe, pin-up e copertine per Liberty Magazine. Nel 1939, con l’inizio delle storie domenicali di Phantom, McCoy e Willman diventano assistenti di Moore. Wilson non può immaginare sia la svolta della sua vita, ma è esattamente quello che succede: anche se i 53 dollari settimanali ricevuti per sostituire Ray durante la guerra gli fanno storcere il naso, nel corso del tempo il compenso crescerà, permettendo finalmente alla sua famiglia (allargatasi nel 1933, con la nascita della secondogenita Carol) di trasferirsi a Chicago. 


Dopo sette anni di lavoro come ghost artist, la prima storia ufficialmente accreditata a McCoy, “Queen Asta of Trondelay”, viene pubblicata tra il 15 luglio e il 26 ottobre 1946. Tre anni più tardi, con la pubblicazione di Fathers and Sons (20 febbraio - 24 aprile 1949), l’artista inizia a firmare anche le tavole domenicali. Nonostante l’ombra di Moore non scompaia immediatamente, Wilson cerca di staccarsi completamente dal disegno del suo predecessore, sviluppando uno stile piatto ed essenziale, volutamente ingenuo, talmente naif da sembrare infantile. Un taglio netto con il passato di cui si erano già avute le avvisaglie nel periodo trascorso come assistente, durante il quale la sua mano aveva preso sempre più spazio contribuendo alla trasformazione stilistica di Moore. McCoy cura il minimo dettaglio e fa ampio uso di documentazione fotografica alla ricerca della massima naturalezza, allestendo set casalinghi in cui moglie e figli posano per lui interpretando le scene da disegnare. La villa dove vive e lavora, situata a Barrington presso il 254 di Donlea Road (nell’area metropolitana di Chicago), diventa il modello per la casa di Diana Palmer, a dimostrazione di come il contesto reale sia la base imprescindibile del suo operato. Lo stile di McCoy, insomma, non è infantile come potrebbe sembrare: Wilson rielabora la realtà attraverso uno straordinario lavoro di sintesi, dimostrando notevoli capacità tecniche e una personalità capace di sfociare in un’irresistibile vena pop. McCoy, inoltre, trasferisce la sua esperienza da illustratore di pin-up nel disegno della figura femminile: a cominciare da Diana, le sue donne sono graziose fanciulle dall’aspetto borghese, lontanissime dalle sensuali femmes fatales e le sofisticate star hollywoodiane tratteggiate dal suo predecessore. Anche Phantom cambia radicalmente aspetto, passando dalla figura atletica e potente di Moore a un fisico burroso che fa sembrare la calzamaglia un goffo pigiamone. 


Quando prende le redini della striscia, in sostanza, McCoy mette rapidamente a fuoco un percorso personale, privo di qualsiasi continuità con Moore e del tutto indifferente alle correnti grafiche più in voga. Il suo stile sdrammatizza le imprese del protagonista, svuotandole di qualsiasi connotazione eroica, in un’edulcorazione dei toni che sembra quasi anticipare il giro di vite imposto dal Comics Code nel 1954. McCoy si fa promotore di una scelta coraggiosa ma efficace, perché permette a Phantom di sviluppare un proprio universo ben definito: Falk, infatti, si adatta alle caratteristiche del disegnatore cambiando completamente i toni della striscia. Le avventure cupe dell’epoca Moore cedono il passo a trame bizzarre rivolte soprattutto a un pubblico giovane, spesso ambientate in regni fiabeschi governati da giovani sovrani e principesse capricciose, oppure in foreste abitate da curiose popolazioni indigene. In questo modo lo sceneggiatore delinea maggiormente l’immaginario stato del Bengali che fa da sfondo alle storie, un paese dove la giungla incontaminata degli indigeni convive con moderne metropoli di stampo sudafricano. Per variare trame e ambientazioni, insomma, non è più necessario trasferirsi negli Stati Uniti, è sufficiente spostare Phantom in città costiere come Frasertown e Bengali per fargli vivere avventure dalle atmosfere urbane contro gangster e terroristi. McCoy, in ogni caso, dà il suo meglio nelle storie ambientate nella giungla. La foresta del Bengali abbandona l’aspetto oscuro e minaccioso del periodo Moore per trasformarsi in un grande bosco decisamente più rassicurante, quasi idealizzato, dove Phantom trascorre le giornate rilassandosi in compagnia di Diana o leggendo le cronache dei suoi antenati nella sua Caverna del Teschio. Appassionato di viaggi e safari, McCoy si reca in prima persona nei luoghi che ispirano gli scenari dell’eroe mascherato, modellando la tribù dei Bandar sui pigmei Mbuti, una popolazione indigena della foresta dell’Ituri, in Congo. Dovunque vada, si documenta, scatta foto, studia architetture e vestiti degli abitanti locali per possibili usi futuri. Il successore di Moore è completamente assorbito dal suo lavoro, un artista dotato di un approccio maniacale apparentemente lontano dal segno stilizzato mostrato nelle strisce. A differenza dei colleghi, inoltre, preferisce fare tutto da solo, senza appoggiarsi a una squadra di assistenti. L’unica a dargli una mano è la moglie: oltre a occuparsi del lettering, Dorothy sfrutta le sue buone doti di disegnatrice per i layout e gli sfondi, aiutandolo ad alleggerire l’enorme carico di lavoro. 


McCoy, insomma, è probabilmente l’artista che più di ogni altro si è impegnato nel disegnare Phantom, dedicando anima e corpo alla produzione della striscia. Per un tragico scherzo del destino, saranno proprio l’abitudine alla documentazione e la passione per i viaggi a causare la sua fine. Nel 1961, durante un safari in Congo sulle tracce degli Mbuti, Wilson contrae un’infezione. Viene curato con gli antibiotici, ma ogni tanto il problema torna a disturbarlo fino a formare un coagulo di sangue e coinvolgere il cuore. Mentre sta combattendo contro la malattia, il 20 luglio 1961 un infarto lo stronca in un letto d’ospedale a soli 59 anni. La sua ultima striscia giornaliera appare il 19 agosto 1961, mentre l’ultima tavola domenicale esce il 17 settembre dello stesso anno. Se le storie quotidiane vengono rilevate da Sy Barry, le tavole domenicali passano per una settimana a Carmine Infantino e poi stabilmente nelle mani di Bill Lignante. 


La morte di McCoy segna la fine di un’epoca, un periodo irripetibile contrassegnato da una sorprendente trasformazione stilistica e di contenuti. Il passaggio a una visione del personaggio più ingenua potrebbe sembrare una regressione rispetto alla gestione Moore, ma in realtà si tratta semplicemente di un approccio differente che testimonia la versatilità di Phantom e del suo mondo, capaci di mutare pelle rimanendo fedeli alla loro essenza. Il cambio di rotta funziona solo grazie allo stile di McCoy, perfetto per disegnare questo tipo di storie, spesso più simili a favole che alle avventure di un avversario del crimine. Con un altro artista non sarebbe stata la stessa cosa: impensabile, ad esempio, immaginare Moore alle prese con maghi, stregoni e altre figure soprannaturali come quelle che popolano le strisce di questo periodo. Le storie dal carattere immaginario continueranno anche dopo la morte di Wilson, ma nessun disegnatore saprà farle funzionare con la sua stessa magia. Il Phantom di McCoy, in definitiva, resta un esemplare unico, una parentesi felice che porta l’eroe mascherato a una popolarità dilagante: pubblicata su cinquecento quotidiani in quarantasette paesi del mondo, durante l’era McCoy la striscia dell’Ombra che cammina raggiunge la sua massima diffusione. Più pop di così non si può.

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