Focus: Sguardi incrociati - Prima parte

Continua il nostro viaggio tra Manga e Occidente, stavolta con Xavier Guilbert, caporedattore di du9.org, sito francese consacrato all'approfondimento sul fumetto. Studioso che ha vissuto anche in Giappone, ha molte pubblicazioni all'attivo, soprattutto articoli e saggi riguardanti i fumetti giapponesi e ha ricoperto più volte il ruolo di commissario per importanti esposizioni, l'ultima quella dedicata a Yoshiharu Tsuge in occasione del Festival di Angoulême 2020.
In un lungo articolo che pubblicheremo in tre parti, Xavier tenta di rispondere alla spinosa domanda "perché nei manga i personaggi hanno gli occhi grandissimi, anche se i giapponesi hanno gli occhi a mandorla?" e lo fa scomodando la storia, l'antropologia e l'anatomia. Buona e proficua lettura! 

Sguardi incrociati
(ovvero Manga e Occhi Grandi)
di Xavier Guilbert (trad. di A. Neri)

Dieci anni prima del premio per il miglior fumetto ad Angoulême per NonNonBâ. Storie di fantasmi giapponesi, Pascal Lardellier disegnava sulle pagine del Monde Diplo[1] un ritratto sconvolgente del pericolo giallo, incoraggiando a prendere le armi per difendere la patria in pericolo, prima di concludere: «Non esiste una lotta culturale minore che meriti l’indifferenza o la rassegnazione. I manga dovrebbero aprirci gli occhi. O mettiamo a repentaglio, ancora una volta, per un interesse di logica economica, una ennesima parte del patrimonio culturale europeo».
Oggi non ci inquietiamo più della corruzione dei giovani, quanto della sopravvivenza sulla lunga durata del "nostro" fumetto di fronte a questo tsunami commerciale. Il vocabolario marziale ("poetico-guerriero", direbbe Pascal Lardellier) non è cambiato, ma col tempo si è finito per riconoscere delle qualità alle produzioni nipponiche.

Ma il problema non è neanche più la "violenza quasi onnipresente" o la "deliberata esibizione della sofferenza", si vede regolarmente risorgere la domanda riguardo alla rappresentazione dei personaggi, già evocata nell’articolo: «la negazione sistematica degli occhi a mandorla è facilmente spiegabile: ciò permette di esportare queste produzioni verso mercati immensi, l’americano, già sommerso, e l’europeo, sul punto di essere totalmente conquistato. Il viso del personaggio tipo è ridotto al minimo, liscio, caratterizzato da dei tratti pallidi e sbiaditi, e soprattutto degli occhi sproporzionati, immensi».
Il motivo commerciale appena proposto però non regge granché, soprattutto se si dà un’occhiata alle cifre delle vendite: i giapponesi producono in priorità per il loro mercato interno, molto più lucrativo dell’export. Considerazione alla quale bisogna aggiungere la "giapponicità" dei racconti, sia nei soggetti che nei comportamenti, che rende di fatto incongrua l’idea di una produzione volta verso la seduzione dell’estero. 
Lasciando gli argomenti del capitalismo, ci siamo allora volti verso l’estetismo, sostenendo che bisognava trovare la spiegazione di questa rappresentazione dell’ideale di bellezza dei giapponesi, un ideale di bellezza necessariamente occidentale. Dopo tutto, gli asiatici non si sottopongono in massa a chirurgia oculare, non si tingono i capelli, non mettono delle lenti a contatto colorate, benché siano affascinati da un ideale occidentale largamente diffuso dalla mondializzazione della pubblicità e dal cinema hollywoodiano...

Ovviamente, se du9 e ComicsViews si interessano oggi a questa spinosa questione è per cercare di dare una risposta alla questione. Una buona volta per tutte. 

UNA GIOVENTÙ OCCIDENTALE

L’"occidentalità" dei personaggi di manga è tanto più evidente quando la si confronta alle rappresentazioni pittoriche giapponesi dei secoli precedenti. Così, l’ukiyo-e (corrente maggiore delle ere Edo e Meiji) rappresenta spesso dei personaggi dagli occhi molto fortemente a mandorla, dal viso e i comportamenti indegniabilmente asiatici (vedi l'immagine qui a destra del maestro Toshisai Sharaku). Si potrebbe allora correre, un po’ troppo velocemente, a certe conclusioni e volere contrapporre un "prima" (l’irruzione dell’uomo bianco) e un "dopo", l’era Meiji (1868-1912) che segna l’inizio dell’apertura del Giappone alle influenze occidentali dopo diversi secoli d’isolazionismo - e l’inizio di un fascino durevole.

In realtà bisogna cercare le ragioni di questi cambiamenti nella rappresentazione del viso, non nella fascino, ma nell’imitazione. Così, all’arte dell’ukiyo-e[2] inspirato dai racconti e opere d’arte cinese, si sostituiscono i primi fumetti nei giornali, dopo l’introduzione de giornale satirico The Japan Punch, lanciato nel 1862 da Charles Wirgman, un americano installato a Tokyo. Dai codici dell’arte cinese si passa dunque ai codici della caricatura e dell’illustrazione all’occidentale. (vedi l'immagine qui a sinistra di Kitazawa Rakuten)

Le cose diverranno ancora più chiare nel 1947, quando Tezuka Osamu pubblica Shin Takarajima, segnando così l’inizio dell’era del "manga moderno". Tezuka non nasconde le sue influenze - confessando di essersi inspirato, per il suo stile grafico (e in particolare nell’animazione), da quello che facevano Max Fleischer (Betty Boop) o Walt Disney (Bambi) (vedi l'immagine qui a destra). Si è parlato molto dell’importanza di Tezuka, il « dio del manga » e la sua carriera ultra-prolifica lascia dietro di lui più di 150,000 pagine disegnate. Ma al di là del semplice volume della sua produzione, bisogna sottolineare un’influenza preponderante sull’insieme della produzione giapponese.
In effetti ricordiamoci che in Giappone i manga-ka funzionano con un sistema simile a quello degli atelier e degli apprendisti durante il Rinascimento[3]. Così, si comincia un cursus come assistente di un manga-ka già conosciuto, prima di potere volare delle proprie ali - favorendo così la propagazione degli stili e delle influenze, secondo i « rami genealogici » così costituiti. E’ Tezuka stesso che instaura questo sistema installando nel 1952 una specie di studio, il Tokiwa-sô[4], con una piccola équipe di manga-ka, di cui quasi tutti ricopriranno il ruolo di assistente del maestro per una serie: Fujiko Fujio A., Fujiko F. Fujio (il solo a non essere stato assistente di Tezuka), Yokoyama Mitsuteru, Kuwata Jirô, Nagashima Shinji, Ishinomori Shôtarô e Matsumoto Reiji.

Se questo breve elenco ispira già il rispetto per i grandi nomi che contiene, le generazioni successive di assistenti estendono le sue ramificazioni fino ad inglobare una parte estremamente importante dei manga-ka in attività. Per rappresentare la complessità di queste relazioni, vi rimandiamo all’"albero degli assistenti" proposto qui in illustrazione (vedi l'immagine qui a sinistra, ripresa da questo sito), che, anche se comprende solo gli autori che hanno pubblicato sullo Shûkan Shônen Jump, da una buona idea di quello che potrebbe essere una genealogia esaustiva[5]. È dunque irrefutabile che l’influenza stilistica e narrativa di Tezuka è centrale nello sviluppo del manga attuale - avendo rivoluzionato il genere, in particolare grazie al dinamismo di queste storie. Quello che Pascal Lardellier constata soltanto (con una buona dose di isteria ansiogena) quando evoca «lo stile, sorprendentemente statico e sincopato, così come la scelta degli angoli (che) obbligano lo spettatore o il lettore a frequenti faccia a faccia con i personaggi».

Così, l’influenza occidentale sull’emergenza del manga è reale, e si manifesta in due tappe: in un primo tempo, l’abbandono dei codici di rappresentazione cinese che erano utilizzati nel l’ukiyo-e per un approccio dell’illustrazione "all’occidentale" con l’arrivo dei giornali alla fine del XIX° secolo; poi, in un secondo tempo, la rivoluzione orchestrata da Tezuka Osamu con le basi del "manga moderno", fortemente inspirato dalle tecniche narrative dell’animazione di Max Fleischer e Walt Disney.

LA COLPA DI DISNEY

Assodato che il responsabile degli "occhi grandi" è Walt Disney, cerchiamo di vedere le ragioni di questa particolare scelta – al fine di capire se si tratta di rappresentare degli occhi occidentali o se la ragione è un’altra. Il biologo Stephen Jay Gould si è occupato dell’argomento nel 1983 nel suo articolo A biological homage to Mickey Mouse, notando l’evoluzione delle caratteristiche fisiche del topo famoso tra la sua prima apparizione agli inizi degli anni ’30 fino alla forma canonica che conosciamo oggi (vedi l'immagine qui a destra). Il giudizio è senza appello: aumento delle dimensioni degli occhi rispetto alla dimensione della testa (passata da 27% a 42%), così come un aumento della dimensione della testa rispetto a quella del corpo (passata dal 43% al 48%). Gould fa notare anche che questa evoluzione avvicina così Topolino all’aspetto del suo giovane "nipote" Morty Mouse, mentre i « cattivi » hanno sistematicamente una morfologia più adulta, benché siano in genere della stessa età di Topolino[6].
Gould ne conclude quindi che Walt Disney usa qui inconsciamente i meccanismi della néoténie, precisata in particolare da Konrad Lorenz. Quest’ultimo indica in effetti che i caratteri dell’infanzia[7] hanno una forte influenza sugli umani e che è astratta, spingendoci a giudicare gli altri animali in funzione degli stessi criteri . ciò che spiega l’intenerimento che si può osservare di fronte a dei gattini, cuccioli e altri animaletti dai grandi occhi e piccolo corpo.

Si vede quindi che la scelta di una rappresentazione "a occhi grandi" nei manga può dipendere da due fattori distinti: da un lato l’utilizzo più o meno cosciente di un sistema di rappresentazione costruito da Tezuka, et dall’altro l’influenza universale della neotenia che completa e/o rinforza il primo aspetto.
Bisogna inoltre notare che Tezuka abbandona a volte il suo stile abituale per introdurre delle rotture nella narrazione. Così, in Kirihito Sanka, il dottor Urabe è sempre rappresentato con un tratto molto più realista e scuro (vedi l'immagine qui a sinistra), creando un contrasto forte rispetto alla sua attitudine abituale - rinforzando l’impressione di dualismo sinistro che circonda questo personaggio.

D’altronde è interessante anche volgersi verso altri tipi di rappresentazione in uso in Giappone, sviluppati all’infuori dell’influenza centrale di Tezuka. Si pensi in particolare agli autori che lavoravano per il network dei qui kashibonya, e da cui nacquero il magazine Garo e i gekiga verso la metà degli anni ’60. Se anche qui si ritrova ancora il sistema degli assistenti che fa apparire delle "correnti di stile"[8], bisogna riconoscere che gli stili sono diversi e che delle voci con una personalità specifica hanno potuto emergere[9]. E in queste opere generalmente destinate ad una popolazione adulta, gli "occhi grandi" sono più l’eccezione che la regola (vedi l'immagine qui a destra). 
Ora, tutta una parte della produzione nipponica è spesso meno conosciuta perché meno tradotta. O a causa di disegni giudicati meno accessibili, o per tematiche considerate troppo giapponesi, i grandi editori straniei fanno una selezione che rinforza spesso l’impressione di uniformità e di produzione a catena. E soprattutto l’amalgama ancora frequente che viene fatto tra un manga e la sua serie animata (i cui vincoli tecnici contribuiscono ancora di più alla standardizzazione) - limitando di nuovo la percezione della produzione manga ad una parte emersa che non è affatto rappresentativa.
NOTE
[1] Pascal Lardellier, "Ce que nous disent les mangas..." in Le Monde Diplomatique (Dicembre 1996).
[2] Arte tra l’altro molto popolare perché abbordabile e che può essere riprodotta in serie. 
[3] Bisogna notare che questo sistema era molto presente all’epoca, ma che diventa progressivamente desueto.
[4] Dal nome dell’appartamento dove era situato. L’appartamento in questione fu distrutto nel 1982, una distruzione seguita con molta emozione da Tezuka – e che fu un’opportunità per molti show televisivi sulla NHK.
[5] Con qualche ricerca possiamo trovare delle filiazioni a volte sorprendenti, che uniscono, per esempio, Masami Yûki (Kidô Keisatsu Patlabor) e Katsu Aki (Futari Ecchi) a Matsumoto Leiji (Ginga Tetsudô 999, Ûchû Kaizoku Harlock), ex inquilino del Tokiwa-sô con Tezuka; o Oda Eiichirô (One Piece) e Takei Hiroyuki (Shaman King) via Watsuki Nobuhiro (Rurôni Kenshin) a Terasawa Bûichi (ex assistente di Tezuka stesso); o anche Inoue Takehiko (Slam Dunk, Vagabond), ex assistente di Tsukasa Hôjô (City Hunter), che ha ammesso di essere stato molto ispirato dal lavoro di Ishinomori, al punto che ha utilizzato alcuni dei suoi schemi nelle sue opere - Ishinomori, di cui Nagai Gô (Mazinga Z, Devilman, Cutie Honey) fu anche lui l’assistente; oppure Nihei Tsutomu (Blame!) via Takahashi Tsutomu (Jiraishin, Tetsuwan Girl), ex assistente di Kawaguchi Kaiji (Chinmoku no Kantai, Zipang) il cui desiderio di fare manga nasce grazie a Mangaka Zankoku Monogatari di Nagashima Shinji di Mushi Prod - la compagnia di animazione fondata da Tezuka.
[6] Estratto del testo originale: «I applied my best pair of dial calipers to three stages of the official phylogeny - the thin-nosed, ears forward figure of the early 1930s, the latter-day jack of Mickey and the Beanstalk (1947), and the modern mouse. I measured three signs of Mickey’s creeping juvenility: increasing eye size maximum height) as a percentage of head length (base of the nose to the top of rear ear); increasing head length as a percentage of body length; and increasing cranial vault size measured by rearward displacement of the front ear (base of the nose to top of front ear as a percentage of base of the nose to top of rear ear). 
All three percentages increased steadily - eye size from 27 to 42 percent of head length ; head length from 42.7 to 48.1 percent of body length ; and nose to front ear from 71.7 to a whopping 95.6 percent of nose to rear ear. For comparison, I measured Mickey’s young "nephew" Morty Mouse. In each case, Mickey has clearly been evolving toward youthful stages of his stock, although he still has a way to go for head length.
Lorenz emphasizes the power that juvenile features hold over us, and the abstract quality of their influence, by pointing out that we judge other animals by the same criteria - although the judgment may be utterly inappropriate in an evolutionary context. We are, in short, fooled by an evolved response to our own babies, and we transfer our reaction to the same set of features in other animals. 
(...) I submit that Mickey Mouse’s evolutionary road down the course of his own growth in reverse reflects the unconscious discovery of this very biological principle by Disney and his artists. In fact, the emotional status of most Disney characters rests on the same set of Distinctions. To this extent, the magic kingdom trades on a biological illusion - our ability to abstract and our propensity to transfer inappropriately to other animals the fitting responses we make to changing form in the growth of our own bodies. (...) Mouse villains or sharpies, contrasted with Mickey, are always more adult in appearance, although they often share Mickey’s chronological age».
[7] Gli stadi giovanili si caratterizzano spesso con una testa più grande, degli occhi più larghi e delle forme più rotonde rispetto alle proporzioni di un corpo di adulto.
[8] Potremo citare quindi Mizuki Shigeru, con i suoi assistenti Tsuge Yoshiharu, Tatsumi Yoshimoto e... Ikegami Ryôichi (Crying Freeman); o Shirato Sanpei (autore di Kamui-den), di cui Kojima Gôseki (disegnatore di Kozure Ookami) fu l’assistente.
[9] Possiamo citare come esempio degli autori quali Abe Shin’ichi, Takita Yû o Maruo Suehiro, che hanno pubblicato tutti su Garo.
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