Focus: Sguardi incrociati - Seconda parte


Sguardi incrociati
(ovvero Manga e Occhi Grandi)
di Xavier Guilbert (trad. di A. Neri)

UN SERIO CASO DI ETNOCENTRISMO

Ci sono quindi dei manga, una parte importante della produzione giapponese, che presentano dei personaggi con degli occhi grandi. Dai grandi occhi, dunque occidentali, come volevasi dimostrare - saremmo tentati di dire. Da qui il fascino, l’ideale di bellezza, eccetera. Sì... ma no.
In realtà, è qui che arriva il concetto etnologico di etnocentrismo, che "è la tendenza a giudicare le altre culture ed interpretarle in base ai criteri della propria proiettando su di esse il nostro concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale". Messo in evidenza dall’antropologo Claude Levi-Strauss (in particolare nella sua opera Razza e storia, 1952), l’etnocentrismo è un’attitudine spontanea e dunque universale.
Nella lettura di un manga l’etnocentrismo funziona così a due livelli: da un lato nella lettura dell’immagine stessa, che fa supporre al lettore occidentale che il personaggio rappresentato gli assomigli; d’altra parte, nella deduzione che questo lettore fa in seguito che questa rappresentazione è la conseguenza di un’attrattiva - attrattiva che è di fatto una valorizzazione del suo gruppo etnico, per forza superiore al gruppo asiatico.

I lavori di Robert Kurzban[1] hanno messo in evidenza i criteri secondo i quali noi valutiamo i nostri simili: il sesso, l’età e la razza. In effetti sembrerebbe che la percezione di differenza razziale sia dovuta alla presenza di un "rilevatore di differenza" che ricerca tutto quel che si può definire inusuale.
Si ritrova una nozione simile in semeiotica, con la teoria della marcatezza sviluppata da Roman Jakobson: «La teoria della marcatezza (markedness theory) presuppone una capacità degli uomini a percepire le persone, gli oggetti, le azioni e gli avvenimenti conformi ad un paradigma (un modello, un tipo, uno schema) o che si allontanano da questo paradigma. Ciò che semplicemente si conforma al modello è non-marcato, ciò che se allontana dal modello è marcato».
Quindi non c’è dubbio che in italiano l’espressione "occhi a mandorla" corrisponde a un carattere marcato - divergendo da un modello implicito per il quale gli occhi non sarebbero a mandorla. Al contrario bisognerebbe notare che la lingua giapponese non fa apparire una differenza tale: i termini utilizzati (hito-e cioè "palpebra singola" per gli occhi a mandorla e futa-e o "doppia palpebra" per gli occhi non a mandorla) sono su uno stesso piano, con un valore semplicemente descrittivo.

Attenzione però, questi segni di differenza sono relativi - e si basano sulla percezione che ha un individuo dato del gruppo al quale appartiene. L’articolo "Adaptation to natural facial category"[2] riporta un esperimento illuminante. Utilizzando dei visi compositi (ottenuti mescolando dei visi occidentali e giapponesi variando le proporzioni), l’esperimento voleva trovare i "limiti" della percezione di appartenenza ad un gruppo etnico dato.
Due risultati interessanti sono da notare. Da una parte si constata che la percezione di appartenenza ammette solo poche variazioni rispetto allo standard. Così, per i giapponesi il limite della "giapponicità" si situa al 67% giapponese / 33% occidentale ; mentre per gli occidentali il limite dell’"accidentalità" si situa al 58% occidentale / 42% giapponese. Questo significa che la percezione dell’altro è molto diversa - ogni gruppo è senza dubbio convinto di capire dove si situa la frontiera. In realtà, se creadiamo questo esperimento, ci sarebbero degli individui che sarebbero percepiti come occidentali (perché non-giapponesi) dai giapponesi, e allo stesso tempo percepiti come giapponesi (perché non-occidentali) dagli occidentali.
Infine l’esperimento mostra che i giapponesi che sono vissuti negli Stati Uniti vedono un uno spostamento del limite della "giapponicità" - 61% giapponesi / 39% occidentali 61%. Vivere in un ambiente quotidiano più diversificato li porta a riconsiderare la loro percezione del loro gruppo etnico[3].

Quindi un lettore considererà un personaggio di manga attraverso la sua percezione personale della normalità e della differenza. Per un occidentale questa differenza si esprimerà attraverso gli occhi a mandorla, la pelle gialla, i capelli neri; per un asiatico saranno, al contrario, dei nasi grossi e delle mascelle volitive - queste caratteristiche indicano immediatamente l’appartenenza ad un gruppo etnico preciso. Al contrario l’assenza di questi punti di differenza permettono l’accettazione nel gruppo, sulla base di una somiglianza supposta.

Troviamo un esempio che mostra particolarmente bene questi meccanismi nei manga che presentano un mix di di personaggi giapponesi ed altri non-giapponesi. Monster, di Urasawa Naoki, è perfetto come esempio poiché ha un personaggio giapponese, il dottor Tenma, in mezzo ad un cast tutto tedesco (vedi l'immagine qui a destra, Tenma è al centro). Si può così constatare come la differenza è espressa al livello del fisico, con le zone privilegiate come il naso e la forma del viso.

OK, MA ALLORA CANDY?

Tutto ciò va bene, ma allora possiamo portare l’esempio di un manga come Candy Candy, la cui azione si svolge negli Stati Uniti e di cui tutti i protagonisti occidentali sono rappresentati... uguali ad altri personaggi di manga simili, ma che si svolgono in Giappone. E ciò è una prova irrefutabile di questa occidentalizzazione. E quindi la fascinazione, l’ideale della bellezza eccetera. E no!
Si potrebbe già menzionare le semplici esigenze della narrazione che tendono all’efficacia: i racconti che mescolano dei personaggi di etnie diverse devono far notare al lettore questa differenza, mentre quelli che presentano una popolazione etnica omogenea non ne hanno bisogno. Ma questo motivo tecnico è senza dubbio completato da una ragione molto più fondamentale, legata al modo in cui percepiamo le immagini.

Infatti gli studi sulla percezione hanno dimostrato che occidentali e asiatici non leggono le immagini nello stesso modo. Più precisamente, di fronte a dei paesaggi urbani, «gli europei tendono a focalizzare la loro attenzione su degli oggetti, indipendentemente dal contesto (percezione analitica), mentre gli asiatici si focalizzano sul contesto (in una percezione olistica)»[4]
Questa differenza è presente anche nel fumetto occidentale, poichè in Understanding Comics (pp.112-114), Scott McCloud fa notare che, per quanto riguarda la rappresentazione del movimento, i disegnatori americani o europei utilizzano degli artifici che sottolineano il movimento dell’oggetto o del personaggio in primo piano, in particolare con delle linee di movimento o delle ripetizioni di silhouette sfumate o no. Mentre i giapponesi ricorrono ad un dispositivo molto differente di messa in moviment soggettiva – piuttosto che descrivere il movimento dell’oggetto si piazza il lettore ion situazione di movimento, enfatizzando quindi il contesto.

Così, confrontati ad una scena triste tratta da un manga, i lettori occidentali accorderanno più importanza agli oggetti in primo piano o ai personaggi, facendo astrazione dell’ambiente che spesso (per quanto riguarda i racconti che si svolgono in Giappone) è a loro poco familiare e dunque difficilmente identificabile. Al contrario, i lettori giapponesi daranno più importanza all’ambiente nel quale si trovano questi personaggi, un luogo che possono riconoscere e che piazza allora i personaggi in un ambiente preciso.
Per illustrare quest’ultimo punto, basta pensare alla maggioranza delle commedie romantiche contemporanee – racconti per i quali gli autori ricorrono spesso ad una documentazione fotografica, arrivando a volte ad utilizzare una fotocopiatrice o la tavola luminoso per gli ambienti. Ci ritroviamo allora catapultati in una Tokyo realista e fedele, con posti emblematici e facilmente riconoscibili… per chi conosce la capitale nipponica: Shibuya (con la statua di Hachikô e il 109), Shinjuku (la stazione, il municipio di Tokyo, lo schermo gigante dello studio Alta), Ikebukuro (la statua davanti alla stazione o il Sunshine City), ma anche la Torre di Tokyo, per citarne solo alcuni.

Inoltre ci viene riprodotto un arredo urbano molto specifico e che, al di là dei luoghi da cartolina, insierisce fortemente i racconti in una realtà fondamentalmente giapponese. L’illustrazione a sinistra (tratta dalla serie Bakuon Rettô di Takahashi Tsutomu) è un buon esempio di pagina doppia che potrebbe essere identificata come occidentale da un occidentale (con in particolare la presenza del personaggio biondo[5]), ma nella quale una moltitudine di dettagli indica che si tratta di una scena giapponese.
Ovviamente ci concentreremo principalmente sulla vignetta in basso a sinistra, che rappresenta un incrocio. I cavi elettrici onnipresenti e intrigati sono una caratteristica del Giappone, dove solo una piccolissima parte della rete elettrica è sotterrata (a causa dei terremoti frequenti). In più, se il palazzo con i balconi lunghi non è molto specifico del Giappone, il convenience store che si vede in primo piano è una specialità locale - dall’insegna (con le strisce colorate) ai distributori accanto all’entrata passando dalla costruzione stessa e i vasi sul lato. Infine, la bicicletta che si vede parcheggiata sulla destra (senza catena per di più) è anche questa caratteristica, col suo cestino sul davanti. 
D’altronde, la vignetta superiore rappresenta (in veduta dal basso) la struttura di cemento dello shutô, l’autostrada sopraelevata che attraversa Tokyo con la sua rete. Infine, nella vignetta che presenta il personaggio biondo, si può notare una casetta col tetto coperto di tegole a rombo e una caratteristica complesso abitativo, entrambi elementi molto frequenti nell’urbanistica nipponica.

In conclusione, mentre un giapponese vedrà in ognuno di questi elementi la conferma di un racconto situato nel suo paese, un occidentale sprovvisto di questa chiave di lettura non ci leggerà nessuna indicazione radicale di "giapponicità". Si torna allora alla teoria della marcatezza, una scena senza indicazione visibile di "giapponicità" che viene interpretata come occidentale.

NOTE
[1] Citati in questo articolo: «Dr Kurzban observes that the three criteria on which people routinely, and often prejudicially, assess each other are sex, age and race. Judgments based on sex and age make Darwinian sense, because people have evolved in a context where these things matter. But until long-distance transport was invented, few people would have come across members of other races. Dr Kurzban believes that perceptions of racial difference are caused by the overstimulation of what might be called an "otherness detector" in the human mind. This is there to sort genuine strangers, who will need to work hard to prove they are trustworthy, from those who are merely unfamiliar members of the clan. It will latch on to anything unusual and obvious - and there is little that is more obvious than skin colour. But other things, such as an odd accent, will do equally well».
[2] "Adaptation to natural facial category" di Michael A. Webster, Daniel Kaping, Yoko Mizokami e Paul Duhamel, in Nature, Vol.428, aprile 2004.
[3] Ricordiamo che il Giappone presenta la popolazione più omogenea del pianeta, con soltanto lo 0.6% di stranieri, di cui una maggioranza di coreani (vedi questo articolo dell’Encyclopedia of Nations).
[4] Estratto dell’articolo "Culture and Perception: The Role of the Physical Environment": «Europeans tend to focus their attention on objects, independent of context (i.e., to attend and perceive analytically), while East Asians focus on the context (attending and perceiving holistically)». I lavori menzionati fanno riferimento a T. Masuda e R.E. Nisbett, Culture and change blindness, Cognitive Science.
[5] Il racconto di Bakuon Rettô è chiaramente ambientato nel Giappone degli anni ’80 e questo personaggio biondo è un giapponese con i capelli tinti. Si tratta di un bôsôzoku, un membro di una gang di bikers, e i capelli tinti sono il marchio "bad boy", l’affermazione di una marginalità, così come la scelta di vestiti (i tokko-fuku) che si rifanno a quelli dei piloti kamikaze della seconda guerra mondiale.
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