Recensione: Chanbara 2

Sangue innocente
di Matteo Spadini

CHANBARA 2
Autori: Gabriella Contu (testi), Walter Venturi (disegni), Andrea Accardi (copertina)
Formato: 112 pagine, b/n, cartonato, 22x29,7, 18 €
Editore: Sergio Bonelli Editore

La compagnia di Chanbara è di nuovo insieme, al completo; i guerrieri Tetsuo e Jun, apparsi, in ordine, su La redenzione del samurai ("Le Storie" n.2, 2012) e su I fiori del massacro ("Le Storie" n.15, 2013), il selvaggio spadaccino Daisuke, reclutato nel precedente volume di Chanbara ("Il lampo e il tuono") e Ichi, il vecchio giustiziere cieco che, forte della sua esperienza e della sua sconfinata saggezza, accompagna i suoi "ragazzi" in un viaggio di vita e morte nell’affascinante contesto del Giappone feudale.

Ryu Murasaki, l’assassino conosciuto col nome di Diavolo Bianco, è annoiato. Le terre che ha messo nel mirino non sono degne del suo intervento, e lascia che sia una sua allieva ad occuparsene. Akemi è visibilmente onorata di aver ricevuto tale compito e guida la furia dei suoi uomini sugli indifesi corpi della gente. Il sangue innocente scorre a fiumi. "Portate i pali!" urla Akemi. La potente, doppia splash page delle pagine 16 e 17 è il devastante risultato della loro crudeltà. Il daimyo Nobunaga assiste inerme al caos, ha paura di ribellarsi e viene pian piano soggiogato dalla seduttiva arte di Akemi. Soburo, uno dei figli di Nobunaga, prova a far ragionare suo padre, invano. Solo l’aiuto di Ichi e dei suoi, forse, potrà riuscire a far splendere il sole su quelle fredde terre.

Roberto Recchioni e Andrea Accardi lasciano le redini del gioco, per questa volta, e affidano il loro Chanbara a Gabriella Contu (soggetto e sceneggiatura) e Walter Venturi (disegni). Il risultato è lodevole, sia nei contenuti che nella messa in scena, e non era per nulla scontato vista la difficoltà nel maneggiare dei personaggi nati dalla mente, e dalla mano, di qualcun altro. Intendiamoci, non c’è del miracoloso. Gli autori coinvolti sono abili e lo dimostrano, ma non si limitano a svolgere il compito per rendere omogenea la storia. Lo fanno comunque, riuscendoci, e aggiungono idee, stile, nuovi chiarimenti sul passato e visioni personali sulla costruzione della tavola, pur rimanendo saldi al naturale carattere di Chanbara. Ciò che più è stato salvaguardato, giustamente, è la scelta di affidarsi maggiormente alle immagini che alle parole. Come nel primo volume, "Il lampo e il tuono", anche qui c’è un gran numero di vignette mute. Il difficile esame di Venturi (superato) consisteva proprio nel dare voce all’ottima sceneggiatura di Contu anche, e soprattutto, nell’assenza di dialoghi. Fra le tavole più riuscite, senza dubbio, ci sono quelle che ritraggono Daisuke alle prese con i suoi affari; la guerra, il cibo, l’amore, la vendetta e quella sua cinica visione della vita.

D’obbligo, ve lo diciamo, è aver letto prima la storia di Recchioni e Accardi (compresi quei due albi citati all’inizio che rientrano nella collana "Le Storie") per godere appieno di alcuni passaggi della trama che, altrimenti, vi arriverebbero troppo confusi, come la vita di Ichi e gli eventi che lo hanno portato ad essere ciò che è oggi. E, più in generale, per assaporare al meglio il clima di quel periodo storico, capire le azioni e le scelte dei personaggi, darsi qualche risposta e porsi nuove domande.

"Le spade del tradimento" è una storia che ama, sanguina, e lo fa con coraggio. Si prende i propri rischi (osando una meravigliosa splash page, nel finale, da ammirare in orizzontale), e scrive un gran capitolo della saga di Chanbara.
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