Recensione: L'Immortale Hulk 1-12

Un Hulk di successo
di GianLorenzo Franzì

L’IMMORTALE HULK 1-12
Autori: Al Ewing (testi), Joe Bennett, Leonardo Romero, Paul Hornschemeier, Marguerite Sauvage, Garry Brown, Lee Garbett, Martin Simmonds e Eric Nguyen (disegni), Paul Mounts, Paul Hornschemeier e Marguerite Sauvage (colori), Alex Ross (copertine)
Formato: 32 pagine, colore, spillato, 17x26, 2 € cad.
Editore: Panini Comics

Hulk è probabilmente uno di quei - pochi - personaggi (come Daredevil, come Batman, come Dylan Dog) le cui storie si prestano a racconti più trasversali, dove il protagonista o presunto tale funge da cornice alla narrazione declinata secondo i generi più differenti. 

Tutte le strade portano ad HULK
Nella fattispecie, il pelleverde creato da Lee e Kirby ha avuto anche una versione a cavallo tra il camp e il naif in tv; tornando poi sulle pagine di carta colorata, ecco il lunghissimo ciclo di soap opera tipicamente claremontiana per come è condita dai superpoteri, a firma Peter David; quello più noir sottovalutato ma bellissimo e in alcuni passaggi, e per alcune cose, persino migliore di quella di David, targata Bruce Jones (sul lungo termine, a rileggere oggi quelle storie, il ciclo dello scrittore di Long Island ha perso in freschezza e immediatezza, con i dialoghi che suonano fin troppo artefatti; mentre lo stile di Jones è ancora oggi sinuoso, cerebrale, affascinante e torbido, complice i disegni di un giovane Immonen e Deodato al suo top - due cicli ristampati da Panini Comics, nella serie "Marvel Greatest Hits"); e ancora quello postmodernista di John Byrne, e quello blockbuster senza approfondimento ma con botte da orbi spettacolari di Greg Pak... Tutte storie che hanno spesso e volentieri messo da parte il personaggio per concentrarsi sui comprimari, utilizzando la figura di questo moderno Mr. Hyde come ombra a margine, ora minacciosa, ora romantica, ora criminale. 

Stesso discorso per l’attuale run di Hulk di Al Ewing e Joe Bennett: i due autori si sono ritrovati per le mani il personaggio in un momento editoriale di crisi. Durante e dopo le varie rivoluzioni Marvel (dalla fase editoriale del Now! Fino all’ANAD! e via discorrendo), Hulk era passato di mano in mano senza riuscire a trovare uno scrittore in grado non tanto di raccontarne le storie in maniera efficace, quanto di dargli una forte personalizzazione narrativa e caratteriale. L’impronta data da David prima e Jones poi è stata così forte che è stato problematico per gli autori che sono loro succeduti, nel nuovo millennio, trovare un approccio originale e convincente per il personaggio. Ci ha provato Greg Pak, come si diceva sopra, con due saghe più di successo che di qualità; ci ha provato Gerry Duggan con un pur appassionante Doc Green (anche se si muoveva sui solchi tracciati dall’Hulk intelligente di David), ci ha riprovato Pak durante l’ANAD con Il Fichissimo Hulk (Totally Awesome Hulk), pubblicato da Panini, dopo la chiusura dello spillato mensile, in verdi volumetti brossurati, prima da edicola, poi da libreria - cambiandogli addirittura identità, e approfittando della "morte" di Bruce Banner per far vestire di verde e viola Amadeus Cho, comprimario mai completamente emerso dalle brume della mediocrità. 

Devil (& the) Hulk
Ci sono riusciti però solo Ewing e Bennett: il primo reduce dalle ottime Mighty Avengers, New Avengers e soprattutto Ultimates (e si vocifera, futuro autore di Thor dopo il traumatico e sempre più vicino abbandono di Jason Aaron), il secondo irriconoscibile e giunto alla completa maturazione dopo prove alterne su diverse testate, sono stati sicuramente gli uomini giusti al momento giusto al posto giusto sulla testata giusta. Ewing ha affrontato il personaggio in maniera sottile, intelligente e ultrapop, ma allo stesso tempo elitaria e sofisticata: perché ha recuperato, come cornice, l’atmosfera urbana e on the road proprio del serial di cui si accennava all’inizio, con un Robert (?) Banner in perenne fuga per le strade d’America, miscelandola però con idee e trame non solo innovative, ma profondamente personale, autoriali e quanto mai disturbanti. 

L’Hulk di Ewing non è un mostro che alla fine suscita tenerezza o tutt’al più pietà, e neanche un superforzuto consapevole della sua eccellenza o della sua disgraziata condizione; il gigante verde è questa volta un vero e proprio monstrum, un prodigio, una rivelazione maligna e cattiva che porta sciagura su ogni città o persona sulla quale su abbatte con una furia diabolica. E si usa il termine non a caso: nei soli primi due episodi di Immortal Hulk - che Panini edita in spillati da 32 pagine solo per il circuito delle librerie - tutte le certezze dei lettori vengono spazzate via, con una dicotomia quanto mai accentuata tra Banner e il suo alter ego, e si avverte nell’aria che c’è qualcosa che non va.

Il perturbante freudiano è probabilmente quello che Ewing aveva in mente quando ha iniziato a descrivere l’universo narrativo del suo Hulk: perché tutto parte dal confronto perenne tra Bruce e Hulk, in una danza psicologica che sembra voler suggerire un’ulteriore passo in avanti in quella fusione che in tanti hanno tentato di definire ma che ancora oggi sembra sfuggire ai suoi stessi attori. È insomma l’orrore quello che viene messo in campo, un orrore che fa paura per le ombre che insinua dentro e fuori: i disegni di Bennett sono un completamente ideale per descrivere i raccapriccianti risvolti narrativi che riguardano sangue e frattaglie ma anche fobie e paranoie - la mostruosità del corpo, allora, diventa una mostruosità dell’anima, ed entrambe si riflettono in un’ipertrofia anatomica che sembra voler schizzare fuori dalla classica griglia a fumetti, in un racconto inquietante e paranoico che non risparmia niente e nessuno, in primis il lettore che viene letteralmente trasportato in medias res

Un’atmosfera di angoscia incombente, dialoghi asciutti e stratificati, rimandi e suggestioni letterarie che via via si fanno sempre più presenti, un tratto morbido ed elegante che riempie i corpi per plasmarli in statue di morbosa carnalità: Immortal Hulk è una serie raffinata e mainstream allo stesso tempo, una lettura che incredibilmente unisce echi "alti" e "bassi" per ricreare un personaggio e il suo mondo nel migliore dei modi, ovvero con un trait d’union delle sue tante incarnazioni narrative, all’interno delle quali l’autore scava per sviscerarne i presupposti nascosti e più latenti, recuperando spunti (ignoti forse ai loro stessi autori) da Bruce Jones e da Paul Jenkins in primis. E se adesso Hulk è immortale (come suggerisce non solo il titolo, ma la sua ennesima resurrezione dopo Civil War II) piò l’Aldilà essere lontano? I primi tre story-arc, quelli già pubblicati in Italia, hanno ormai reso chiaro il fatto che il percorso di Banner/Hulk, e quindi di tutti i personaggi della storia, non è certo un percorso di redenzione, bensì di dannazione: una lunga strada lastricata forse pure di buone intenzioni ma che porta dritta all’inferno, o meglio all’inferno che ci teniamo dentro di noi tutti i giorni, tutta la vita.

Verso il 25 e oltre
Immortal Hulk mette le cose in chiaro fin dall’inizio: la testata non racconta di Hulk: il racconto è una perversa, disperata commedia umana che vuole mostrare come la percezione del Male e della Realtà sia differente di persona in persona, perché ognuno ha il suo inferno personale con cui deve venire a patti non per potersi salvare (ogni salvezza è impossibile) ma solo per sopravvivere giorno per giorno e riuscire a guardarsi ancora allo specchio: "Ci sono due persone in ogni specchio: c’è quella che vedi. E c’è l’altra. Quella che non vuoi."

Bruce Banner è in fuga: creduto morto dai media, si aggira tra le strade di un’America nascosta nella speranza di poter essere dimenticato da tutto e tutti, dopo aver scoperto di essere letteralmente immortale. Ma "il cielo è dei violenti": e la citazione da O’Connor non è casuale. C’è qualcuno sulle sue tracce: una giornalista, con uno scopo misterioso e personale, e un’organizzazione paragovernativa, con mire altrettanti oscure. Entrambi si troveranno davanti però non più un semplice mostro, ma un essere diabolico fin troppo sicuro di sé, pronto a tutto e soprattutto capace di tutto.
Tra complessi edipici, porte verdi e scontri sanguinosi quanto oscuri, L’Immortale Hulk si avvicina, in patria, al 25° numero con un successo crescente di critica ma soprattutto di pubblico: cosa più unica che rara, la testata scala mese dopo mese le classifiche di vendite, incredibilmente visto che nessuna promozione è stata fatta se non il tam tam dei lettori e di una critica entusiasta di quella che attualmente, insieme ai neonati e (finalmente, di nuovo, davvero) incredibili X-Men di Hickman, è una delle testate realmente imperdibili, un gioiello non solo fumettistico ma letterario tout court
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