- Manga, la faccia dell'altro - Prima parte
Manga, la faccia dell'altro
(ovvero "I personaggi dei manga sembrano bianchi?")
di Rachel Thorn (trad. di A. Neri)
Fin qui abbiamo visto la mia tesi, ma molti pensano che non sia convincente. Questi insistono sul fatto che i manga siano inequivocabilmente "caucasici", e che l'ubiquità dei personaggi caucasici nei manga e nella cultura popolare giapponese in generale è un segno evidente del desiderio da parte dei giapponesi di identificarsi con gli europei occidentali piuttosto che con gli asiatici orientali. In effetti, molti studiosi occidentali suggeriscono che i giapponesi oggi covano tale desiderio e che negano la loro "asiaticità" e provano invece a identificarsi con gli occidentali "bianchi".[1] Il fatto curioso che i personaggi cinesi che appaiono nei manga siano spesso raffigurati con gli stessi tratti dell'"asiaticità" (occhi a mandorla, capelli lisci e neri) comune alla rappresentazione occidentale sembra la prova irrefutabile di questa teoria.
Ma queste teorie abbondano di crepe. Prima di tutto, sembrano prendere concetti domestici di identità etnica sviluppate nel contesto politicamente carico di una società etnicamente varia, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito, e le applicano in blocco al Giappone, una società straniera, come se se i giapponesi fossero semplicemente un'altra "minoranza" rispetto alla "maggioranza" euro-americana. Per gli asiatici americani far valere la propria "asiaticità" (indipendentemente dal fatto che ci siano o meno dei tratti distintivi) può essere politicamente significativo nel contesto della società americana, ma certamente non vuol dire che il popolo giapponese, o altri popoli asiatici, dovrebbero, o potrebbero significativamente, abbracciare una simile identità,
In secondo luogo, l'opinione secondo la quale i giapponesi hanno un complesso di inferiorità nei confronti degli occidentali bianchi, mi sembra basata sul presupposto inconscio molto diffuso che i popoli non occidentali invidiano gli occidentali, e più specialmente nella visione americana secondo la quale tutti gli altri nel mondo vogliono essere americani. Ovviamente, gli studiosi e gli intellettuali che notano tali orientamenti in Giappone non lo approvano; al contrario, schioccano la lingua per disapprovare e si torcono le mani dalla disperazione e preferirebbero che i giapponesi evitassero la tentazione dell'Occidente e restassero fedeli ed orgogliosi del loro retaggio culturale. Ma il forte desiderio col quale loro cercano la prova di questa brama di essere "bianchi" e la caparbietà con la quale ignorano ciò che prova il contrario, mi dicono che la loro comprensione della realtà sociale è pesantemente filtrata attraverso un etnocentrismo inconscio.
Infine, la prova di un tale complesso di inferiorità è difficilmente concludente, ed è qui che mi sembra che ci siano prove a favore come ce ne sono contro questa tesi. Per esempio, il caso delle rappresentazione stereotipata dei cinesi nei manga può essere spiegata senza concludere che i giapponesi identificano loro stessi con gli occidentali bianchi. Mettendo da parte i manga nei quali gli stereotipi sono usati per far ridere o per sostenere un punto di vista razzista (e succede di tanto in tanto), gli stereotipi razziali in genere appaiono nei manga solo quando il personaggio stereotipato fa parte di una minoranza nella storia. Un personaggio cinese in un manga ambientato in Giappone è marcato attraverso segni visivi (e spesso anche errori nel parlato), così da distinguerlo dai personaggi giapponesi, che fanno parte della categoria non marcata.
È interessante che in un manga in cui i personaggi cinesi od europei sono la maggioranza, come in una storia ambientata in Cina o in Europa, la maggioranza dei personaggi sono in genere disegnati come lo sarebbero dei personaggi giapponesi in un manga ambientato in Giappone, senza segni stereotipati. Nel contesto di una storia del genere, i cinesi o gli europei non sono l'Altro e marcare questo essere altro sarebbe superfluo. L'artista rende evidente il contesto straniero attraverso nomi, vestiti, abitudini, costruzioni e arredi piuttosto che appesantire ogni personaggio con caratteristiche razziali che limiterebbero la sua capacità a distinguere un personaggio dall'altro e renderebbe più difficile il processo di identificazione del lettore col protagonista. Inoltre, se un personaggio giapponese appare in un storia del genere, questo sarà in genere marcato visivamente come giapponese, anche se di solito solo attraverso occhi e capelli neri (ci si aspetta che i lettori si identificano con questi personaggi e delle caratteristiche troppo marcate interferirebbero con questa identificazione).
I segni razziali nei manga, quindi, sono relativi in genere. Al contrario, in un fumetto americano ambientato in Giappone o in Cina vedremmo i personaggi ritratti con tratti razziali stereotipati (e probabilmente anche con accenti innaturali). Può essere che gli Occidentali, abituati a tratti razziali standardizzati e assoluti, vengano confusi dal sistema giapponese di valori relativi, nel quale uno stesso artista può ritrarre un personaggio cinese in un modo in una storia (ambientata in Giappone) e in modo molto diversa in un'altra (ambientata in Cina).
Può essere vero che i giapponesi sono, nei media, spesso ambivalenti verso l'Occidente, l'America e tutto quello che non è giapponese. E sì, sono spesso duramente critici verso la propria società e può essere che a volte cerchino alternative preferibili in altre società. Ma per questi aspetti, mi sembra che i giapponesi siano più o meno come qualsiasi altro popolo. Mi sembra che ci siano altre questioni molto più interessanti da esplorare e quindi non dirò altro sull'argomento, anche se non ho alcun dubbio che alcuni dei miei lettori saranno restii ad abbandonare del tutto la questione dei giapponesi che vogliono o non vogliono essere "bianchi".
NOTE
[1] Devo confessare che, mentre una volta avevo un elenco di lavori accademici che affermavano ciò, ho perso l'elenco e successivamente non sono riuscito a trovare tali lavori. Spero che questo significhi che gli studiosi sono diventati più cauti nel fare tali generalizzazioni.
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