Recensione: House of X/Powers of X 1-3

Hicks-Men
di GianLorenzo Franzì

HOUSE OF X 1-3 / POWERS OF X 1-3
Autori: Jonathan Hickman (testi), Pepe Larraz e R.B. Silva (disegni), Marte Gracia (colori)
Formato: 56 (nn.1) e 40 (nn.2 e 3) pagine , colore, spillato, 17x26, 3,90 (nn.1) e 3 (nn.2 e 3) €
Editore: Panini Comics

Sognata, attesa al varco, agognata, invocata. È arrivata anche in Italia la gestione Hickman sui mutanti, la prima dopo anni e anni di storie e scrittori appannati per una famiglia di collane che dal 1973 (anno in cui Len Wein e Chris Claremont resero la pecora nera del parco testate Marvel il fiore all’occhiello, dove fior fior di scrittori - da Morrison a Lobdell, da Milligan ad Hama, da David a Brubaker a Millar - utilizzavano i mutanti per portare avanti le loro personalissime visioni autoriali del fumetto mainstream) non aveva smesso di stupire e di essere faro e ammiraglia di un certo modo, vincente, di unire qualità e quantità. 
Qualcosa si era rotto dopo Morrison, che forse aveva dato una versione talmente postmoderna e assoluta, per l’epoca, degli X-Men, da infierirgli un colpo quasi mortale: nonostante la buona volontà e le buone storie, sottovalutate all’epoca ma da rivalutare adesso, di Ed Brubaker, per i gruppi di Charles Xavier era stata una lentissima agonia che li aveva portati, nel nuovo decennio, ad essere dimenticati in un limbo editoriale dal quale nessuno pensava ormai si potessero più rialzare, complici gli incassi stratosferici e la notorietà mondiale raggiunta dai loro eterni “avversari”, gli Avengers.

CASATO DI A E CASA DI X
Se gli Avengers sono, da un certo punto di vista, il gruppo ufficiale della Marvel, e quindi la parte più istituzionale, gli X-Men da sempre hanno portato avanti un’idea di storia e di narrazione più anarchica e rivoluzionaria: eroi non per poteri, ma per una mutazione genetica che è più che altro una maledizione, i mutanti negli anni hanno sfruttato alla meglio la vastissima portata della metafora insita in loro. Soap opera generazionale, denuncia dell’odio verso il diverso; pamphlet politico sull’abuso del potere; profondissima analisi della psiche e dello sdoppiamento della personalità; odissea umana; storia d’amore e di morte; tutto racchiuso in una lunga, irresistibile avventura di supereroi che in realtà rappresentano un diaframma narrativo degli Stati Uniti di Kennedy, poi Nixon, poi Reagan, poi Clinton e Obama. Gli X-Men, grazie all’assunto di base (un gruppo di emarginati che lottano per difendere un mondo che li odia e li teme), sono stati e sono ancora una metafora potentissima con cui esplorare e raccontare tutto e il contrario di tutto, in maniera apertamente “contro” e mai “istituzionale” come gli Avengers: perché se questi lavorano, bene o male, alla luce del sole, quelli devono nascondersi nell’ombra e pianificare nonostante tutto come portare avanti la loro idea di umanità. Insomma, sempre fedeli a quella X che è diventata un brand inconfondibile.
Se quindi Claremont ha saputo tirar fuori da loro quello che c’era all’ombra degli anni ’70 e ’80, con due decenni a disposizione per inventare mettere in tavola un nuovo modo di raccontare e scrivere albi seriali (modo ripreso ancora oggi dalla maggior parte delle testate), predisponendo un vero e proprio sottouniverso con i suoi canoni e le sue regole; Scott Lobdell, scrittore più modesto ma certo non privo di carattere ha saputo traghettarli attraverso i difficili anni ’90, accompagnandoli dalla loro “adolescenza” fino all’età adulta, distruggendo il sogno di Xavier poco a poco, preparando la scacchiera per gli anni Duemila, quando Morrison, genio con una forza iconoclasta unita ad una vena poetica ispiratissima, ha distrutto tutto lasciando solo macerie dalle quali ricostruire. 
E di certo ci voleva uno scrittore di egual caratura per erigere un nuovo palazzo: ed ecco quindi profilarsi all’orizzonte Jonathan Hickman, autore controverso ma di enorme intensità e innovazione, che già aveva dato prove altissime sia sui difficilissimi Secret Warriors sia sugli istituzionali Avengers, stravolgendoli di fatto. 
Sugli X-Men ha avuto carta bianca totale. E va detto che la casa editrice non si è certo tirata indietro, lanciando una campagna promozionale aggressiva e particolarmente assoluta: il risultato ha però ampiamente ripagato. Gli X-Men sono tornati a brillare come non mai, e anzi ci si è spinti più in là: Powers Of X e House Of X, le due miniserie (che sono una) che hanno fatto da ponte tra il vecchio (Uncanny X-Men di Rosenberg) e il nuovo (X-Men di Hickman, ovvero la Dawn Of X), sono tate così sconvolgenti, nuove, copernicane nella loro alterità, da mostrare nuovamente - così come gli X -Men editorialmente e narrativamente hanno sempre fatto- maniere moderne per pensare un fumetto seriale di grossa diffusione. 

POTENZA DI 10, 100, 1000
Powers of X e House Of X sono due mini che si intrecciano, pena l’incomprensibilità della trama, alternandosi e scambiandosi i personaggi. Sei numeri quindicinali l’una, per un totale di sei mesi di pubblicazioni come strada maestra per arrivare a quell’alba di X orchestrata da Hickman, che hanno presentato un mondo anzi un universo nuovo: in un’operazione non solo di world building ma anche e forse soprattutto di time building. Perché 
*SPOILER ALERT*
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le linee narrative si sono scisse accavallandosi su di loro, il tempo si è frantumato, il mondo si è unito, e dalle ceneri di tutto questo è nata l’isola/nazione mutante di Krakoa, un’idea semplicissima ma immensa nelle sue implicazioni narrative e politiche. Si, perché in linea con la loro vocazione, gli X-Men di Hickman sono anche profondamente politici: il n.1 di HoX si apre con un summit politico in un’ambasciata krakoana su suolo americano in vista del riconoscimento della sovranità di una nuova nazione mutante. Krakoa appunto. E se Donald Trump è dietro l’angolo, insieme a Sun Tzu, di certo l’affresco di Hickman non si esaurisce qui: c’è una nuova alleanza, tra Xavier e Magneto, un nuovo modo di far nascere i mutanti e un nuovo modo di accoglierli in un luogo a loro favorevole, ci sono nuovi personaggi nel futuro, e ci sono nuove prospettive con cui osservare personaggi già conosciuti. È il caso di Moira McTaggert, al secolo Moira X.
È da lei che Hickman decide di far ripartire tutto ciò che si sapeva sui mutanti: la loro è una storia coesa quanto possibile (parte del fascino delle loro avventure è proprio che dal 1973 ad oggi ogni episodio avvenuto ha ripercussioni su quelli moderni, in una sorta di flusso di coscienza in arrestato che non esclude nulla e rende i 45 anni di pubblicazioni un unico, enorme mosaico, cosa più unica che rara nel media fumettistico oggi), e cambiare una sola pedina dalla sua posizione vuol dire necessariamente rivedere tutte le dinamiche. 
In HoX n.2 tutto cambia, quindi: perché veniamo a sapere che anche la dott.ssa McTaggert, storica amante di Xavier, nota genetista nonché personaggio morto un paio di volte, è una mutante, e il suo potere è quello di reincarnarsi. Per almeno dieci volte: lo svela a lei stessa Destiny, uno dei personaggi del canone claremontiano più affascinanti di tutti i tempi in un flashback che è anche una delle scene più misteriosamente inquietanti e suggestive del fumetto anni Dieci. Tutto il resto lo rivela al lettore lo stesso Hickman: perché lo dicevamo prima, qua non si tratta solo di world building. Hickman sui mutanti reinventa il concetto stesso di fumetto mainstream, della sua fruizione, della sua composizione: HoX e PoX sono composti dalle solite 22 pagine di fumetto con l’aggiunta di 10 pagine di infografiche riguardanti le storie lette. Schede che di volta in volta infittiscono i misteri o provvedono a gettare un po’ di luce su quanto raccontato, mettono ordine alla narrazione, danno la giusta prospettiva: insomma, accompagnano la lettura restituendo un’esperienza immersiva pressoché totale e ineguagliata ad oggi. Senza contare che l’isola Nazione di Krakoa ha anche, udite! udite!, un proprio alfabeto: una lingua comprensibile soltanto dal mutante Cypher, e che i lettori possono solo leggere all’interno dei volumetti cimentandosi con la trascrizione delle misteriose scritte sparse qua e là in, appunto, krakoano. 
Così come ineguagliato è lo sguardo sul futuro, insieme a quello sul passato, che Hickman offre al lettore: volendo semplificare per eccesso, se HoX ambienta le sue storie nel presente dei mutanti che tutti conosciamo, PoX gioca invece con il futuro, anzi con i futuri. Il titolo Powers Of X è tutto spostato sull’ambivalenza della X di cui sopra: da una parte logo dei mutanti di casa Marvel, dall’altra numero romano che riporta al 10. Potenza di 10 è quindi la traduzione forse più fedele che si possa fare, sempre che di traduzione sia possibile farne una esatta senza perdere nulla nel passaggio: per potenza di 10 infatti l’autore si sposta in avanti nel tempo (10 anni, poi 100, poi 1000) dando uno sguardo su cosa succederà in diverse linee temporali, e su come quello a cui assistiamo nel presente -le numerose vite di Moira X, in primis- cambieranno il futuro. 
*FINE SPOILER*
*FINE SPOILER*
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Insomma, niente è lasciato al caso, il lettore viene guidato passo passo in un labirinto inaspettato e costruito sulle fondamenta di quello che sapevamo o pensavamo di sapere: come se non bastasse tutto quanto detto, Hickman riprende fedelmente le idee, i concetti e le situazioni di Claremont e dei suoi successori, mette ordine a quattro decenni di storie, li incasella in maniera certosina e mostra il risultato, abbagliante e impressionante, consapevole che quello che sta facendo è epocale, mai visto, pietra angolare di una modalità narrativa che, da HoX e PoX in poi, non potrà più prescindere dal confronto. 

L’ALBA DI UNA NUOVA ERA
Chiunque verrà dopo (anche se la permanenza di Hickman è sicura per almeno due anni) non potrà insomma non dover fare i conti con quanto narrato dallo scrittore, nel bene e nel male. L’autore del Manhattan Project ha insomma creato un’opera monumentale nella quale, letteralmente, ha riversato la sua esperienza di anni ed anni, istituzionalizzando in un certo modo le sperimentazioni provate altrove: giocando con il media fumetto, ha alzato l’asticella dell’impostazione narrativa e seriale, innestando negli X-Men tutto quello che in passato li aveva resi grandi (misteri, colpi di scena, approfondimenti dei personaggi, rivelazioni, aderenza con il mondo reale, metafore sociali e politiche) e tantissimo altro, in un amalgama addirittura migliore delle sue singole parti. Senza neanche dimenticare di portare avanti l’avventura tout court: il n.4 di HoX, l’ultimo uscito ad oggi in Italia su GIXM 359, mette un punto esclamativo non da poco nel succedersi degli eventi. Chi conosce i meccanismi narrativi della Marvel magari penserà di conoscere, più o meno, come si evolverà la faccenda del gruppo di X-Men sulla base spaziale dell’Orchis per fermare la costruzione di una Mother Mold: ma neanche il lettore più smaliziato potrà evitare di rimanere fortemente coinvolto dalla storia, invischiato dal meccanismo implacabile di tensione, avviluppato da una coltre emotiva che ricopre tutti i personaggi, grazie alla prosa sapiente e a tratti poetica di Hickman. 
Il risveglio dei nuovi mutanti uscenti dai bozzoli su Krakoa, lo sguardo di Jean verso Logan (HoX n.1); il destino di un Segugio imposto dal Nimrod del futuro (PoX n.1); il racconto di Moira X, il confronto tra Destiny, Mistica e Moira X stessa (HoX n.2); il monologo di Xorn (PoX n.2); il confronto finale tra Logan e Moira X (PoX n.3); il dialogo tra la dr.ssa Gregor e Lady Wyngarde (HoX n.4): sono tutti momenti di intensità emotiva altissima, che a pieno titolo probabilmente rientreranno negli annali del canone X di sopra. Un’emozione, insomma, senza soluzione di continuità, che mette d’accordo incredibilmente cuore e cervello; una narrazione che alza il fumetto a vette artistiche viste raramente (non si faccia l’errore di tralasciare l’apporto grafico di Pepe Larraz, straordinario) nelle pubblicazioni mainstream, che ne restituisce dignità letteraria e che regala momenti di batticuore purissimo.
Insomma, un vero e proprio capolavoro. 

Hickman, come scritto, resterà sui mutanti almeno due anni. finite HoX e PoX, arriverà la testata ammiraglia X-Men, scritta da lui e disegnata da Leinil Francis Yu, e una infornata di altre serie, con gruppi e sottogruppi dopo il riordino delle due mini introduttive: dai New Mutants (co-scritta da Hickman e Duggan, disegnata da Rod Reis in stile Sienkiewicz) ai Marauder (sempre Duggan, con l’italianissimo Matteo Lolli), da X-Force (di Benjamin Percy e Joshua Cassara) a Wolverine (Sempre Percy con Andy Kubert) a Excalibur (di Tini Howard e Marcus To) da Fallen Angels (Bryan Edward Hill e Symon Kudranski) alla mini Hellions fino alla nuova solitaria per Cable: tutte supervisionate dal deus ex machina Hickman, tutte quindi narrativamente organiche sotto un unico punto di vista, un po’ come succedeva a cavallo tra gli ’80 e i ’90 con Claremont. Insomma, il futuro non è mai stato cosi X.
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