Recensione: Avengers - La saga di Proctor

Un pezzo di storia
di GianLorenzo Franzì

LA SAGA DI PROCTOR 
Autori: Bob Harras (testi), Steve Epting (disegni), Tom Palmer (chine e colori)
Formato: 464 pagine, colore, cartonato, 17x26, 40 €
Editore: Panini Comics

Uno dei meriti inconfutabili del piano editoriale di Panini Comics è di certo quello di una programmazione di ristampe per materiale vecchio e nuovo, che ha come unico denominatore quello di pubblicare storie che risultano più appassionanti e fruibili grazie ad una lettura totale e quindi più immersiva.
Operazione che permette oltretutto di capire meglio quali sono le opere che nonostante il passare del tempo conservano non solo fascino (lì è in gioco anche l’effetto nostalgia, a volte) ma anche potenza espressiva e profondità letteraria: è il caso certo dell’Hulk di Peter David, una delle run più lunghe in assoluto dei seriali Marvel e una delle più ampiamente celebrate, in corso di pubblicazione; ma anche de La Saga Di Proctor, saga storica degli Avengers apparsa in Italia solo 25 anni fa sul mensile I Vendicatori - quando il supergruppo era ben lontano dai fasti cinematografici e non era il top seller di oggi- e da allora spesso richiesta ma mai ristampata. 
Fino ad oggi.

L’ARRIVO DEI RACCOGLITORI
Negli anni ’90 a dominare incontrastati le classifiche di vendite erano gli X-Men: questo per tanti fattori, su tutti la fidelizzazione che Chris Claremont aveva costruito con i lettori grazie al suo lunghissimo operato sulla testata (cosa oggi pressoché irripetibile per tantissimi motivi) e una profondità mai banale nelle storie, che basavano l’impianto narrativo soprattutto sulle interrelazioni dei personaggi. 
Tutti gli altri eroi vivevano un po’ di luce riflessa, specialmente il gruppo storico per eccellenza che vivacchiava tra un David Micheline e la creazione di un gruppo parallelo sulla Costa Ovest (serie che tra l’altro beneficiò per i primi numeri di un John Byrne al top della forma stilistica e letteraria, con una storia memorabile come Vision Quest, vero e propria pietra miliare): ben lontani dalle rivoluzioni copernicane di Bendis, i Vendicatori si dibattevano alla fine del secolo in storie che spesso non andavano da nessuna parte, con un retaggio più pesante di quanto gli autori di allora potessero o riuscissero a sopportare, e soprattutto schiacciati dalla popolarità dei mutanti. 
Ci volle quindi l’arrivo di Bob Harras (allora editor proprio delle testate X e in procinto di divenire editor in chef della Marvel) per dare un forte scossone ad una serie che viveva riposandosi fin troppo su allori e storie passate, memorabili sì -vedi la Guerra Kree/Skrull e la Saga di Korvak- ma incapaci di catturare l’attenzione di pubblico e critica.
Harras aveva quel tocco in più: certo la permanenza nel mondo degli X-Men aveva affinato il suo gusto su storie emotivamente coinvolgenti, che come detto contavano sullo sviluppo intimo dei personaggi prima ancora che sugli avvenimenti esterni, e che anzi anticipava e provocava gli accadimenti superomistici veri e propri. Prese allora il gruppo e innestò personaggi “minori”, non titolari di testate e con cui quindi poteva giocare molto di più (il Cavaliere Nero, Ercole, Sersi degli Eterni, Crystal degli Inumani…) insieme ad uno dei character più riusciti tout court della Marvel (Visione) e che meglio si prestava riflessioni importanti, ideando così una saga di ampissimo respiro che coinvolgesse i personaggi e i lettori e stravolgesse il loro mondo interiore. 
L’innovazione di quella che sarebbe diventata la Saga di Proctor non passava quindi da stravolgimenti assoluti come quelli che, dopo diversi anni, provocherà Bendis, ma operava in maniera più sottile eppure alla lunga più dirompente: perché se Bendis avrebbe avuto il problema di portare avanti le sue trame dopo la fortissima spinta iniziale della dissoluzione totale del team, Harras innestò sottotrame che conducevano in automatico sviluppi narrativi dalla portata ampissima e che potenzialmente potevano reggere le storie per anni e anni (come in effetti fu). 
Fu così che lentamente membri fino ad allora sottoutilizzati, uno su tutti il Cavaliere Nero di Dane Whitman, divennero il centro emozionale di una storia frenetica che non lasciava spazio alla noia: sequenze action erano perfettamente amalgamate con altre più introspettive, l’evoluzione drammatica delle relazioni era condotta senza soluzione di continuità con il progredire di una storia fitta di misteri e sottintesi. 
Esemplari gli episodi #356-357, un dittico perfettamente congegnato che fila ancora oggi come un orologio senza perdere un colpo, e che alterna (addirittura senza l’utilizzo esplicativo delle didascalie) lotte mortali in Wakanda e dialoghi intensi nell’Avengers Mansion, e ancora un party mondano con l’arrivo, enigmatico e visivamente potentissimo, di Uatu l’Osservatore. 
E nonostante le evidenti ma apparenti vicinanze, poco a che fare avevano questi Avengers con gli X-Men: perché mentre lì l’emozione e il coinvolgimento nascevano (e nascono) dalla condizione sociale da emarginati dei protagonisti, qui lo status di “semidei” dei personaggi principali è più difficoltoso da declinare per creare empatia con i lettori (cosa che in fondo è comune a tutte le storie dei Vendicatori). L’autore ci riesce però benissimo, costruendo poco a poco la tensione, scavando a fondo nelle psicologie dei personaggi, approfondendoli senza snaturarli, e alla fine restituendo persone e non personaggi, che in pieno Marvel-style sono esseri umani nonostante i loro superpoteri. 

LA MAHD W’YRY E ALTRE STORIE
I ranghi dei Vendicatori sono sempre frutto di una rotazione: quando entrano allora Ercole, Cavaliere Nero, Crystal, Sersi, e Visione, della vecchia guardia sembra restare solo Capitan America e Vedova Nera, mentre Thor (sotto la cui maschera temporanea si celava all’epoca l’inesperto Eric Masterson) si allontana per problemi personali. In questo frangente, il gruppo è attaccato dallo Spadaccino, ex membro morto molto tempo prima, e Magdalene: i loro scopi sono misteriosi così come i loro alleati, i Raccoglitori, un gruppo sotto la guida del potentissimo ed enigmatico Proctor e che si muove attraverso gli universi paralleli. Inizia allora una sfida sottile e mortale, all’interno della quale ogni membro del gruppo si troverà a dover far fronte alle sue pulsioni più oscure mentre l’Eterna Sersi dovrà affrontare la maledizione del suo popolo, la Mahd W’Yry, in attesa di scoprire i veri piani del loro nemico. 
La Saga Di Proctor mette in campo i personaggi al loro meglio, come forse nessun altro autore successivo è riuscito a fare: senza dubbio Sersi (che pochissimo tempo dopo Kurt Busiek tratteggiò in due vignette, nel suo ciclo Heroes Reborn, riportandola purtroppo ad una bidimensionalità avvilente) ma anche il Cavaliere Nero e Crystal, ripresi in più run ma mai così approfonditi e realistici, così come Ercole; mentre Visione è forse il personaggio che esce dalla storia con le conseguenze più importanti (perdendo definitivamente l’aspetto biancastro e tornando ai classici colori verde-rosso). 
Ad ogni modo, le trame congegnate da Harras sono un mix irresistibile di passione e morte: dall’invenzione -spettacolare e purtroppo mai più ripresa da nessuno sceneggiatore- della Mahd W’Yry degli Eterni, fino ai triangoli/quadrilateri amorosi, vero e proprio fulcro di tutto il tessuto narrativo, che fondamentalmente stanno alla base di tutto il ciclo. 
Anzi, forse si può azzardare e dire che il progressivo svestimento dalla natura coatta di invincibili semidei -portata alle estreme conseguenze (anche e soprattutto dialogiche) dal citato Bendis e che oggi, con il rinascimento operato da Aaron, si è un po' perso- venga proprio da qui, e da questa storia che fece salire vertiginosamente le quotazioni del suo disegnatore principale. Parliamo ovviamente di Steve Epting, illustratore principale della storia, che iniziò nel 1995 la sua crescita artistica per arrivare poi alla piena maturazione con altre storie epocali, sempre in zona vendicativa, come La Morte di Capitan America: qui si svincola definitivamente dal debito con Gene Colan, e le sue matte ripassate dal veterano Tom Palmer, acquistano quella plasticità moderna che viene però da una struttura anatomica profondamente classica. La Saga di Proctor è quindi inevitabilmente, inestricabilmente legata alle espressioni mobili e sfuggenti delle matite di Epting, alle sue occhiate taglienti e profonde, all’impianto della sua tavola allo stesso tempo classica (le 6 vignette per pagina) ma che a tratti prende il volo prendendo il possesso della storia, ampliandosi o riducendosi a seconda della necessità. 
Epting è perfetto per tratteggiare i personaggi in scena, donandogli quella sensualità necessaria ad una storia che gioca tutto sugli istinti primevi: perché in fondo, la vendetta di Proctor non è altro che 
SPOILER ALERT
SPOILER ALERT
SPOILER ALERT
la vendetta di un innamorato respinto, che mostra come ogni battaglia umana venga sempre dalle pulsioni del cuore, motore (im)mobile di ogni nostra azione. 
FINE SPOILER
FINE SPOILER
FINE SPOILER
Impossibile poi non sottolineare all’interno della run una delle storie in assoluto più belle sugli Avengers e sulla visione in particolare: parliamo di Legami di Famiglia (Avengers #348, Familiar Connections) sorta di fill-in anomalo e struggente nel quale le pesanti matite di Kirk Jarvinen non riescono minimamente a scalfire la forza di una storia intrisa di commozione. 

VERSO L’INFINITO E OLTRE
Avengers #343/375 è un blocco unico di storie dalla potenza ancora oggi intatta (per questo, la lettura del volume Panini è consigliatissima), e che ha cambiato per sempre la percezione che si aveva del gruppo in termini di postmodernismo: umani, troppo umani, profondamente simili a tutto il resto del Marvel Universe ma al tempo stesso profondamente diversi, unici nelle loro abissali profondità. 
Harras restò sulla testata per un’altra manciata di storie, traghettando gli eroi fino a La Traversata, crossover con altri serial vendicativi che partì benissimo ma finì malissimo: una buona idea di base che venne però pasticciata, probabilmente complice il fatto che l’azienda, all’epoca, non navigava in buonissime acque, tanto che era pronto l’affidamento da parte della Marvel di alcune testate storiche (come Avengers, appunto, ma anche Captain America, Thor, Iron Man e Fantastic Four) a studios esterni come quelli della Image, “regalando” di fatto i personaggi e la loro realizzazione ad autori come Jim Lee e Rob Liefeld per il ciclo che sarà Heroes Reborn, annunciato da Onslaught.
Da lì in poi è veramente un’altra, complicatissima storia: sta di fatto che de La Saga Di Proctor resterà solo un ricordo indelebile di storie ancora oggi bellissime, nonché i giubbotti di pelle che divennero ben presto la suite dei mutanti di Grant Morrison
Perché in Marvel niente finisce mai: ma tutto ricomincia. 
Spesso da 1 
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