Recensione: Orfani 1

Noi non facciamo arte
di Alessandro Neri

ORFANI 1
Autori: Roberto Recchioni (testi), Emiliano Mammucari (disegni), Annalisa Leoni e Lorenzo De Felici (colori), Massimo Carnevale (copertina)
Formato: 98 pagine, colore, brossurato, 16x21, 4,50 €
Editore: Sergio Bonelli Editore

Stiamo vivendo un periodo strano per il fumetto in edicola. C’è chi - su tutti l’Editoriale Cosmo - si lancia in edicola con tantissime proposte di bandes dessinées, cioè opere nate in grande formato e a colori, in formato bonellide e in bianco e nero. Stessa cosa comincia a fare la Lion con alcuni fumetti Vertigo. E c’è chi - saldaPress - ripropone con successo il fenomeno The Walking Dead in formato bonellide, fortunatamente senza alterare le scelte cromatiche originali in quanto nato in bianco e nero. A colori abbiamo solo i comics americani Panini e RW e alcune pubblicazioni Aurea. E poi l’editore che vanta il più alto numero di imitazioni, l’editore sempre fedele al bianco e nero e che solo da pochi anni ha cominciato a pubblicare a colori al di fuori di rari albi celebrativi, eccolo che sforna una serie regolare tutta a colori! E lo fa con una creatura di Roberto Recchioni, un autore giovane (in Italia a 40 anni siamo tutti ragazzi), ma con tanta esperienza sulle spalle. E allora ecco Orfani, una serie di fantascienza. Ma non aspettatevi qualcosa di simile a Nathan Never, Hammer o Lazarus Ledd. Aspettatevi Recchioni, la sua scrittura ultrapop il suo altissimo tasso di citazionismo e un mix di Il gioco di Ender, Fanteria dello spazio, Il signore delle mosche, Halo, solo per nominare alcune "ispirazioni". Di relativamente originale abbiamo la scelta di raccontare due piani temporali diversi all'interno di uno stesso albo. Meno fresca è invece la storia di un gruppo di ragazzini che, dopo un’invasione aliena, viene allenato per diventare un gruppo di superguerrieri e dirigere la ribellione. Ma Recchioni fa ragionare e agire i ragazzini come degli adulti fatti, mentre ne fa degli spacconi che parlano solo per frasi ad effetto degne degli anni peggiori di Sylvester Stallone e Bruce Willis quando sono cresciuti. E, senza eccezioni, abbiamo solo personaggi che definire stereotipati è dire poco. Da sottolineare, però, il linguaggio non troppo "ripulito" e quindi innovativo per gli standard Bonelli.

Emiliano Mammucari, creatore grafico di Orfani e già disegnatore del n.1 di John Doe, ci delizia col suo stile pulito e preciso e fa davvero un grande lavoro, dovendo districarsi tra personaggi ben caratterizzati, ambienti diversissimi tra loro e armi e veicoli avveniristici, certamente aiutato dagli ottimi colori di Annalisa Leoni e Lorenzo De Felici, non piatti come spesso capita di vedere in Bonelli, ma vivi e freschi, degni delle sicuramente più consolidate scuole francese e americana. Sempre di John Doe è il copertinista, Massimo Carnevale, mostro di bravura dal quale ci saremmo aspettati qualcosa di più rispetto alla cover di "Piccoli spaventati guerrieri".

Prima accennavamo all’esperienza di Recchioni. Ed effettivamente non ne manca: ha cocreato con Lorenzo Bartoli John Doe e Detective Dante in casa Eura, in Bonelli scrive Dylan Dog dal 2007 e ne è appena diventato curatore e si tiene impegnato anche con Tex e la collana "Le Storie". Dove trova il tempo per scrivere anche Orfani? Non ci è dato sapere, ci piace pensare che ne chiede un po’ a John (ovunque lui sia), ma sicuramente si è buttato anima e corpo su Orfani, conscio dell’importanza che può avere una serie del genere per l’editore e probabilmente per tutto il fumetto italiano, una serie che ha un budget di ben 3 milioni di euro per i primi 24 numeri. Ma il Recchioni che ci ha convinto su Dylan Dog, che ci è piaciuto nelle prime stagioni di John Doe e in altre sue opere, qui non lo ritroviamo. O meglio, ritroviamo tutto quello che di lui poco ci convinceva e che qui viene messo in risalto. Ma forse Orfani non deve essere un fumetto "bello", deve essere "figo" e se la Bonelli vuole aprirsi ad un nuovo, ringiovanito, pubblico, Orfani può essere la buona strada e, anzi, l’editore deve assolutamente percorrere simili vie. Difficilmente però questo sarà un prodotto che riscuoterà grandi consensi tra il più classico pubblico bonelliano, ormai invecchiato e scafato. Il successo dipenderà da tutto un altro pubblico. E parafrasando la frase più di effetto di questo primo numero, loro non fanno arte.
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