Recensione: Dylan Dog 317

Bilotta vale doppio
di Gianlorenzo Franzì

DYLAN DOG 317
Autori: Alessandro Bilotta (testi), Nicola Mari (disegni), Angelo Stano (copertina)
Formato: 98 pagine, b/n, brossurato, 21x16, 2,90 €
Editore: Sergio Bonelli Editore

L’Indagatore dell’incubo viene ingaggiato dalla bella Scarlett perché la scagioni per un omicidio che lei dice di non aver commesso, ma di cui è stata testimone: in realtà, secondo la donna, la vittima è stata uccisa dal proprio "doppio"...

Il bravo Alessandro Bilotta è di nuovo alle prese con Dylan Dog e dimostra tutta l’esperienza maturata negli anni di assenza dalla serie: in mezzo c’è stato lo straordinario, geniale e struggente Valter Buio e la differenza con gli esordi si vede tutta. Bilotta è ora sceneggiatore dal polso fermo e dalle idee chiare, e riesce lì dove pochi ormai riescono, ovvero nel non facile compito di alzare la media qualitativa degli albi dell’investigatore londinese. Va detto, per onestà intellettuale, che è almeno un annetto che sulle pagine di Dylan Dog non si vedono più alcune di quelle scempiaggini che fino a qualche tempo fa facevano pensare ad un suo declino inarrestabile; e questo "L’Impostore" conferma il trend positivo, anche grazie - come si diceva sopra - alla storia che imbastisce lo scrittore romano. Una storia perfettamente in bilico fra luci ed ombre, e che segna il punto focale di quello che è (dovrebbe essere) oggi Dylan Dog, ovvero investigatore dell’incubo nel momento in cui l’incubo è l’incertezza, la linea d’ombra che divide la ragione dalla follia, il sogno dalla realtà.

Perché se è vero che il Dylan Dog che tutti hanno ammirato e di cui ogni saggista, illustre o meno, ha scritto, è - era - quello di Tiziano Sclavi, ovvero un personaggio irripetibile e fortemente ancorato nell’epoca in cui è nato (nel bel mezzo degli anni Ottanta, pensate un po’) e per forza di cose non potrà mai più tonare se non con il rischio più volte sfiorato di diventare un sopravvissuto al suo stesso mito; è anche vero che, dopo gli Anni Zero, Dylan può e forse dovrebbe rappresentare l’incertezza che, all’ombra di un 11 settembre che ha riscritto la narrativa e la Storia del mondo, vive in un angolo nascosto in ogni essere umano. È così che quell’esistenzialismo spinto del primo Dylan si spegne e rinasce nel nuovo Dylan; per questo motivo fa bene Bilotta, forse inconsapevolmente, a tesser intorno a lui, in questo 317° numero, una storia di doppelganger e doppioni, insinuando il dubbio sul nucleo fondante dell’identità di ognuno di noi e iniziando - o forse proseguendo, se si considerano le belle storie della Barbato su queste pagine - quindi un discorso sull’identità intesa come nucleo fondante e misterioso dell’essere umano.

Da non sottovalutare l’inestimabile lavoro di Nicola Mari, una delle migliori firme del fumetto italiano troppo poco presente, purtroppo, alla Bonelli.
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2 commenti:

  1. Bellissima recensione anche se non la condivido (come si può leggere sul forum).

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  2. Bellissima recensione anche se non la condivido (come si può leggere sul forum).

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