Recensione: Dylan Dog 331

Il ritorno di Dylan, quello vero
di Emiliano Berdini

DYLAN DOG 331
Autori: Giovanni Di Gregorio (testi), Gianluca e Raul Cestaro (disegni), Angelo Stano (copertina)
Formato: 98 pagine, b/n, brossurato, 16x21, 2,90 €
Editore: Sergio Bonelli Editore 

Non è mai semplice scrivere una storia di Dylan Dog. Ancor più oggi, che il personaggio è in fase di restyling dopo un periodo decisamente grigio. E lungo.

''Dylan Dog è Tiziano Sclavi'' ebbe a dire Roberto Recchioni, attuale curatore della testata, in una puntata dell'ottima serie di documentari Fumettology. E il nodo è tutto qui: per scrivere delle buone storie di Dylan è necessario possedere, comprendere, essere in grado di farsi suggestionare dalla sensibilità che aveva Tiziano negli anni di costruzione del personaggio. Non ci sono altre vie: Dylan non è un semplice investigatore alla Nick Raider, le sue storie non possono essere sceneggiate nel piatto susseguirsi di eventi di un semplice giallo a fumetti con risvolti horror. Dylan deve emozionare, è un personaggio che con la scusa dell'horror racconta storie nel quale il protagonista è sempre l'animo umano, con le sue disperazioni, angoscia e insicurezze, desideri e leggerezza, vita e morte.

Tra i nuovi autori, uno di quelli che meglio riesce a interpretare Dylan è sicuramente Giovanni Di Gregorio, che nel numero 331 della serie regolare, "La morte non basta", sviluppa un soggetto nel quale tutti i personaggi chiave della saga dylandoghiana sono centralissimi.

A Londra i morti ritornano, ma non sono zombie, semplicemente ritornano. Ma per poco: il tempo di uccidere per poi dolcemente e definitivamente tornare nell'oblio. Una di queste sfortunate persone è Gloria, che Dylan dovrà veder morire tra le sue braccia per ben due volte, rendendolo addolorato, pieno di sensi di colpa ma, come nello stile di dell'Indagatore dell'incubo, non disponibile ad accettare la cosa senza capirne i perché e i percome.

Dylan in questa storia piange, si dispera, si affanna. Groucho non è una macchietta e basta, che spara due freddure così per giustificarne la sua presenza: con le sue poche battute fa semplicemente da specchio a Dylan, che altrimenti si consumerebbe nel lambiccarsi senza agire. Bloch è perfetto nel suo finto cinismo e i dialoghi con Dylan potrebbero essere tranquillamente trasportati in una storia dei primi, sensazionali, 100 numeri della serie.

Una sola cosa non ci ha convinti appieno e ci fa dire ''Peccato!''. La soluzione finale (che non vi sveleremo, leggetevi l'albo, perché merita) l'abbiamo trovata un po' retorica e tirata via; e la protagonista finale, la Morte, quella con la "M", in Dylan può essere spaventosa, cattiva, indifferente, sarcastica ma mai retorica.

Rimane però la bontà della storia, illustrata alla perfezione dai fratelli Cestaro che con il loro tratto ''fuligginoso'' si adattano perfettamente alle atmosfere uscite dalla penna di Di Gregorio.

Dylan sta lentamente tornando.
Evviva!
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