Recensione: Dylan Dog 387-397

Verso la fine di un ciclo
di Gianlorenzo Franzì

DYLAN DOG 387-397
Autori: Roberto Recchioni, Paola Barbato, Barbara Baraldi, Carlo Ambrosini, Giovanni Eccher (testi), Leomacs, Marco Nizzoli, Giovanni Freghieri, Luigi Piccatto, Giulia Massaglia, Matteo Santaniello, Giampiero Casertano, Werther Dell'Edera, Paolo Martinello, Bruno Brindisi, Marco Nizzoli, Carlo Ambrosini, Luigi Siniscalchi, Corrado Roi (disegni), Gigi Cavenago (copertine)
Formato: 98 pagine, b/n, brossurato, 16x21, 3,90 € cad.
Editore: Sergio Bonelli Editore

Sono davvero pochissimi i fumetti italiani ad aver attraversato non solo i confini nazionali ma anche quelli cronologici, diventando vere e proprie leggende mediatiche. Tex e Diabolik in primis, sono due personaggi profondamente figli del loro tempo (rispettivamente, 1948 e 1962) che restituiscono una ben precisa italianità riuscendo però anche ad essere sempre moderni, grazie ad uno zoccolo duro di lettori certo ma soprattutto alle loro caratteristiche così iconiche. 
Stesso discorso vale per Dylan Dog: creato da Tiziano Sclavi nel 1986, è un antieroe che ritrae la crisi dell’uomo del Novecento e del superuomo a là Alan Moore, reinterpretando il revisionismo storico statunitense e creando, in un certo senso, quello italiano.
Con più di trent’anni alle spalle e oltre 500 storie all’attivo, è inevitabile d’altronde che la natura del personaggio venisse in qualche modo contorta e cambiata: se la tipizzazione americana del personaggio seriale si basa sul perenne cambiamento - cosa che gli permette di cambiare restando sempre fedele a sé stesso -, paradossalmente in Italia il rapporto è inverso, perché se i personaggi da edicola sono per definizione cristallizzati in una determinata caratterizzazione, cambiare di un solo passo vorrebbe dire decentrarne l’attenzione e la natura stessa. L’enorme successo non solo commerciale ma anche e soprattutto mediatico ha fatto quindi sì che Dylan Dog, legato a doppio filo al suo creatore Sclavi, proprio perché fumetto d’autore (nel senso più letterale del termine), all’abbandono del suo demiurgo - circostanza che si fa canonicamente coincidere con l’uscita del numero 100, pur con parecchie forzature logiche - scivolasse lentamente in un oblio indefinito, in una bruma narrativa che lo voleva ripetere stancamente i cliché da lui stesso creati, in una coazione a ripetere che ha portato negli anni ad una fuga inevitabile di lettori. 

ARRIVA IL RROBE
Un sopravvissuto a sé stesso, insomma: un personaggio con un fandom incredibilmente vivo e accanito che doveva però fare i conti con un inesorabile calo qualitativo e commerciale. E più o meno con l’avvicendamento tra Sergio Bonelli e il figlio Davide, più aperto alle innovazioni e più aziendale nelle decisioni anche artistiche, com’è probabilmente inevitabile che sia, il personaggio è stato affidato alle cure di una sorta di controversa popstar del fumetto, quel Roberto Recchioni che si era fatto notare con la miniserie John Doe e diverse storie, anche Bonelli, sparse qua e là. E l’approccio è stato quanto più deflagrante possibile: Recchioni è uno scrittore capace fino a quando si tratta di stendere un canovaccio generico su una storia, ma mediocre nella sua stesura drammaturgica definitiva. Così come quindi alcune avventure scritte di suo pugno sono diventate in un certo senso “storiche” nel microcosmo dylandoghiano (citiamo a memoria “Mater Morbi”, “Spazio Profondo” e “Il Giudizio del Corvo”), forti nella suggestione iniziale ma deboli nello svolgimento; allo stesso modo, la supervisione dell’intera serie ha portato ad una serie di innovazioni controverse e dibattute, anche aspramente.
È noto come il personaggio Recchioni sia ruvido: profondamente ambizioso, spesso vittima di un super-io che lo porta ad essere lontano dalle gentilezze umane proprie dello stile Bonelli, Recchioni si crea un folto stuolo di haters e followers sui social, che inevitabilmente si influenzano e si ingigantiscono a vicenda, in un’osmosi perfetta quanto malata.
Perché si parla di social quando si dovrebbe parlare di fumetti? Perché l’attuale curatore della testata Dylan Dog non è scindibile con la sua versione web: e perché le sue decisioni sono tutto e il contrario di tutto, influenzate in maniera neanche tanto celata dal successo o meno in rete.
La sua gestione è segnata, fin dall’inizio, da una volontà, almeno nominale, di “cambiare tutto il cambiabile”: compresi quelli che erano nel bene e nel male tratti distintivi non solo del personaggio ma proprio della filosofia della serie, come la presenza dell’ispettore Bloch, storico padre putativo di Dylan, fino all’avversione per la tecnologia e soprattutto per i cellulari. Tutte cose che si, avevano portato l’indagatore dell’incubo a vivere in quel limbo di cui si diceva, allontanandolo progressivamente sempre più da quella stessa realtà che invece aveva saputo raccontare così bene ai suoi esordi, con Tiziano Sclavi. Peccato che i cambiamenti tanto annunciati si siano però rivelati delle mezze bolle di sapone (Bloch rimpiazzato dall’ispettore Carpenter solo nel titolo, perché come personaggio continua ad essere comprimario e spesso deus ex machina; la tecnologia limitata all’utilizzo, spesso e volentieri farlocco, di uno smartphone da cabaret), tranne che per un fattore: la volontà di riportare la continuità da un volume all’altro.

IL CICLO DELLA METEORA
Uno dei punti fermi del programma di Recchioni era dividere la sua gestione dylandoghiana in fasi: e la numero quattro prevedeva una serie di dodici albi in strettissima correlazione uno con l’altro (cosa inusuale non solo per la creatura di Sclavi, ma per l’intero parco testate di Bonelli, fatta eccezione solo per il futuribile Nathan Never... quasi ma questa è un’altra storia) che avrebbero realmente, profondamente stravolto l’universo di Dylan Dog. Stava arrivando il Ciclo della Meteora.
Nel giorno in cui scriviamo siamo arrivati al capitolo n.11 della macrostoria, e si può iniziare a tirare qualche somma all’ombra dell’arrivo del monumentale numero 400 della serie, che si preannuncia epocale (scritto dallo stesso Recchioni e disegnato da uno dei capisaldi del mensile, Angelo Stano). 
Il ciclo della Meteora è la summa della gestione Recchioni: buonissime intenzioni con risultati non sempre all’altezza delle promesse fatte, ma un profilo che sicuramente ha risollevato l’eroe stesso da quel pantano di mediocrità in cui si ritrovava anche a livello di comunicazione con la massa.
Il ciclo è quanto di meno compatto si possa pensare: narrativamente, la storia va avanti a singulti e si sente chiaramente come alcuni episodi siano stati inseriti in maniera posticcia, con aggiunte all’ultimo momento per collegarli agli altri (come il pur bellissimo “Del Tempo e di altre Illusioni”, n.395, del Maestro Carlo Ambrosini), e allo stesso modo la lettura ne risente con passaggi forzati e svolte narrative, anche importanti, poco sottolineate con la dovuta precisione.
Stesso discorso per la qualità degli albi: pochi sono realmente improponibili (“La Sopravvissuta”, n.389, di Baraldi/Piccatto-Massaglia-Santaniello), altri più che sufficienti (l’incipit, “Che regni il Caos!”, n.387, di Recchioni/Leomacs-Nizzoli, “Esercizio Numero 6”, n.388, di Barbato/Freghieri, “Casca il Mondo”, n.393, di Baraldi/Brindisi, “Il suo Nome era Guerra”, n.396, di Eccher/Siniscalchi), altri decisamente ottimi (“La Caduta degli Dei”, n.390, di Barbato/Casertano, “Il Sangue della Terra”, n.391, di Barbato/Dell’Edera, “Il Primordio”, n.392, Recchioni-Barbato/Martinello, “Eterne Stagioni”, n.394, di Barbato/Nizzoli, il citato episodio di Ambrosini, “Morbo M”, n.397, di Barbato/Roi). Proprio quest’ultimo, segnato irrimediabilmente dal tratto eccellente ed onirico quanto oscuro di Corrado Roi, sempre diverso e sempre fedele a sé stesso e ai suoi toni in scala di grigi, è una sorta di ottimo riassunto che mostra dove è arrivata la storia - necessario, vista la leggera confusione di cui sopra - e dove probabilmente si sta andando: ovvero, verso la dissoluzione totale del mondo di Dylan Dog.

LA FINE? E L’INIZIO
Fino a dove vorrà, o potrà, spingersi l’estro creativo di Recchioni? Dylan Dog resterà quello che era, ovvero un fumetto dell’orrore basato sulla nostra quotidianità più dolorosa, o diventerà altro, esplorando nuove geografie emotive e narrative? 
Manca ormai poco alla fine del Ciclo della Meteora, e ancor meno a quel numero 400 che definirà il futuro della testata: diverse voci si sono inseguite su quanto accadrà, fatto sta che la curiosità è altissima, c’è tanto in gioco, dalla credibilità di un autore (Recchioni) fino al successo di una testata (Dylan Dog) fino al merito di una casa editrice storica (la Bonelli). All’alba del nuovo anno, il 2020, sapremo tutto. 
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